Welfare Aziendale
Contributo a cura di Fabio Galluccio, co-fondatore di Jointly – Il Welfare Condiviso
La storia di quello che oggi si chiama Welfare aziendale nasce da lontano. Potremmo citare Luisa Spagnoli, Crespi d’Adda, fino ad arrivare al mitico Adriano Olivetti ed oggi a Brunello Cucinelli e alla Loccioni, solo per citarne alcuni, tutti imprenditori che avevano, hanno compreso che la produttività, quello che oggi chiamiamo business, migliora se viene preso in seria considerazione il benessere del proprio personale.
Grandi aziende cito Eni, Enel, grandi Banche, il gruppo Telecom Italia di cui io ho fatto parte per lunghi anni, hanno avuto fin dalla loro nascita politiche sociali anche attraverso, ma non solo, Enti bilaterali, gestiti insieme alle Organizzazioni Sindacali, i cosiddetti Cral, Associazioni per l’assistenza sanitaria o integrativa previdenziale che hanno investito nel tempo libero, ma anche nell’assistenza alle famiglie e agli individui.
In questo ambito già negli anni ‘60 il legislatore aveva previsto la defiscalizzazione in alcuni aree quali l’infanzia, lo studio ed altri ristretti ambiti purchè non contrattati con le Organizzazioni Sindacali. Questo per evitare che in anni di magra delle buste paghe, la parte imprenditoriale riversasse su questi temi le proprie risorse, meno sul costo del lavoro. Nascono così le colonie, gli asili nido aziendali, borse di studio, ecc. In questa direzione si sono sviluppate politiche di people caring, soprattutto nell’ultimo decennio, che hanno ricompreso politiche di conciliazione vita lavoro, politiche di pari opportunità, con l’introduzione in molte aziende della figura del Diversity manager, smart working, solo per citare i casi più significativi .
In questi ultimi due, tre anni, con le leggi di stabilità, con le sempre maggiori difficoltà delle aziende ad aumentare il costo del lavoro e le restrizioni economiche sul welfare state, si è prevista una defiscalizzazione allargata, oltre agli ambiti già previsti, a temi quali il mondo dell’assistenza ai genitori anziani, alle politiche di conciliazione vita privata-vita lavorativa e, forse passaggio ancora più interessante, alla possibilità di contrattare con le Organizzazioni sindacali, aprendo un fronte di cogestione sul benessere del personale, la possibilità di poter “spendere” il premio di produttività, in questo caso defiscalizzato, in tutto o in parte in servizi welfare o introducendo la possibilità nei contratti di dare delle somme che i lavoratori possono spendere nella aree sopra previste (cito uno per tutti il contratto dei metalmeccanici o quello delle Ferrovie dello Stato).
Si comprende come questo modello apre interessanti fronti sull’organizzazione del lavoro (flessibilità, lavoro agile, congedi parentali, e così via), su un modello di relazioni industriali sempre più copartecipato, ma anche di welfare condiviso a livello territoriale, di rete di impresa e di soggetti coinvolti, basti pensare al terzo settore.
13 gennaio 2018