Verniciatore, attività nociva e malattia professionale.
Corte di Cassazione, sentenza 8416 del 2018.
La Corte d'Appello di Genova accoglieva l'appello proposto dall'INAIL contro la sentenza di primo grado che, sulla scorta di ctu, aveva riconosciuto la natura professionale della malattia (tumore polmonare) che aveva cagionato il decesso di un lavoratore, il quale per lungo tempo aveva esercitato l'attività di verniciatore, ed aveva perciò accolto la domanda del coniuge condannando l'INAIL all'erogazione delle prestazioni dovute per legge.
La Corte d'Appello affermava, invece, che l'unica esposizione provata nella causa era al Genklene, un prodotto chimico utilizzato come solvente industriale, per la quale l'INAIL aveva però evidenziato la natura non cancerogena della sostanza; sosteneva inoltre che la previsione secondo cui il tumore al polmone con elevata probabilità fosse derivato causalmente dall'attività di verniciatore era inserita soltanto nelle tabelle di cui all’articolo 139 del D.P.R. 1124/1965, non idonee a fondare la presunzione di origine professionale; e che in base alla nuova ctu disposta in appello risultava invece che il lavoratore fosse deceduto per un fattore del tutto autonomo rispetto all'attività lavorativa pregressa (come il fumo di sigaretta).
La moglie del lavoratore proponeva ricorso per cassazione, che veniva accolto dalla Suprema Corte.
L'elenco delle malattie previsto dall’articolo 139 del D.P.R. 1124/1965 non amplia il catalogo delle patologie tabellate ad eziologia professionale presunta.
Deve esser comunque attribuito il giusto valore all'inclusione dell'attività lavorativa di verniciatore nell'ambito della tabella di cui all’articolo 139 del D.P.R. 1124/1965.
La previsione nella tabella di cui all’articolo 139 del D.P.R. 1124/1965 di una attività lavorativa (come quella del verniciatore) come fattore che con elevata probabilità può cagionare una specifica malattia va considerata nell'ottica non della presunzione di origine professionale e dell'inversione dell'onere della prova, ma della rilevanza probatoria e dell'assolvimento del carico probatorio, talchè in tal caso il lavoratore non deve anche fornire la prova delle singole sostanze a cui è stato esposto nel corso dell'attività di lavoro, essendo tale prova assorbita da quella dello svolgimento dell'attività inclusa nella tabella. Questo argomento probatorio che attiene non al nesso di derivazione causale, ma alla nocività della attività lavorativa svolta, deve essere riconosciuto nel processo.
Nel caso affrontato, la Corte d’Appello non ha considerato provata l'esposizione a sostanze nocive nonostante che l’interessata avesse indicato, una per una, le varie sostanze nocive alle quali era stato esposto il defunto lavoratore nel corso delle mansioni svolte per oltre trent'anni come operaio verniciatore. Era stato anche allegato che alcune sostanze fossero incluse nella lista dedicata alle malattia di cui è probabile l'origine professionale (in particolare benzene, cadmio e cromo) e lo IARC (organismo internazionale che conduce e coordina la ricerca sulle cause del cancro) le includesse tra i tipici composti delle vernici e dei solventi, classificando pure l'attività del verniciatore nel gruppo dei cancerogeni certi.
La stessa ctu espletata in appello sarebbe viziata poiché in relazione ad una malattia multifattoriale, come il tumore al polmone, sostiene che il fattore professionale, che per la IARC e la tabella di cui all’articolo 139 del D.P.R. 1124/1965 ha una elevata valenza eziologica, non abbia invece alcuna rilevanza.
Nella malattia multifattoriale rileva anche il concorso di cause. Il nostro ordinamento in materia di nesso casuale è ispirato al principio di equivalenza delle cause, per cui, al fine di ricostruire il nesso di causa, occorre tener conto di qualsiasi fattore, anche indiretto, remoto o di minore spessore, sul piano eziologico, che abbia concretamente cooperato a creare nel soggetto una situazione tale da favorire comunque l'azione dannosa di altri fattori o ad aggravarne gli effetti, e senza che possa riconoscersi rilevanza causale esclusiva soltanto ad uno dei fattori patologici che abbiano operato nella serie causale.
In presenza di malattia multifattoriale tabellata, dinanzi alla provata esposizione ad un fattore cancerogeno previsto in tabella, ovvero in presenza di malattia multifattoriale non tabellata, acquisita la prova, anche sulla base di indagini epidemiologiche confrontate con le emergenze relative al caso concreto, della elevata cancerogenicità del fattore professionale, il nesso eziologico richiesto dalla legge può essere negato solo qualora possa ritenersi con certezza, e con onere della prova a carico dell'INAIL, che la malattia sia l'effetto esclusivo dell'intervento di un fattore estraneo all'attività lavorativa ovvero di un fattore extra-professionale di per sé solo sufficiente a produrre l'infermità. Va negato che la modesta efficacia del fattore professionale sia sufficiente ad escludere l'operatività del principio di equivalenza causale.
7 dicembre 2018