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Utilizzare per un giudizio documenti aziendali è consentito al lavoratore tuttavia può essere valutata la liceità dell'impossessamento.

Corte di Cassazione, sentenza 16629 del 2016.

La Corte di Appello di Firenze confermava la sentenza del Tribunale di Prato che aveva accertato la legittimità del licenziamento intimato da una società ad un proprio dipendente per giusta causa, sulla base di due distinti rilievi: a) aver registrato durante l'orario di lavoro e sul luogo di lavoro e poi fonotrascritto ai fini della produzione in un giudizio di impugnativa del trasferimento una conversazione tra colleghi di lavoro cui egli stesso aveva preso parte, senza informare della circostanza i suoi interlocutori e b) aver trasferito sul proprio indirizzo e-mail personale un documento riservato a lui non diretto contenente valutazioni sulle possibili potenzialità di progressione di carriera di alcuni dipendenti ed averlo prodotto nel medesimo giudizio.

La Corte di Appello argomentava che, se è sicuramente legittima la produzione in giudizio di una fonoregistrazione o di altra documentazione aziendale quando sia finalizzata a realizzare in concreto il diritto di difesa, altrettanto non può dirsi del comportamento di chi abbia carpito nascostamente le dichiarazioni di un ignaro interlocutore ed abbia utilizzato documenti a lui non diretti che non era legittimato a visionare. Il comportamento così realizzato, per la potenzialità lesiva del diritto alla riservatezza, legittimava il venir meno del rapporto fiduciario che deve assistere il rapporto di lavoro.

Il lavoratore proponeva ricorso per cassazione.

La Suprema Corte ha tracciato una distinzione tra l'attività di produzione in giudizio dei documenti aziendali riservati al fine di esercitare il diritto di difesa e l'attività di impossessamento dei documenti aziendali (eventualmente prodromica alla successiva produzione dei documenti).

Il lavoratore che produca, in una controversia di lavoro intentata nei confronti del datore di lavoro, copia di atti aziendali che riguardino direttamente la sua posizione lavorativa, non viene meno ai suoi doveri di fedeltà, di cui all'articolo 2105 del codice civile, tenuto conto che l'applicazione corretta della normativa processuale in materia è idonea a impedire una vera e propria divulgazione della documentazione aziendale e che, in ogni caso, al diritto di difesa in giudizio deve riconoscersi prevalenza rispetto alle eventuali esigenze di segretezza dell'azienda.

Occorre tuttavia valutare la legittimità delle modalità di apprensione ed impossessamento dei documenti, atteso che tali modalità potrebbero di per sè concretare ipotesi delittuose, o comunque integrare la giusta causa di licenziamento per violazione dell'obbligo di fedeltà di cui all'articolo 2105 del codice civile, sicché tali modalità vanno verificate in concreto. In tal senso, è stato ritenuto illecito il possesso di documenti sottratti al datore di lavoro mediante accesso non autorizzato ad una banca dati aziendale e non attinenti all'attività lavorativa del dipendente e l'avere copiato e conservato, sul personal computer in dotazione sul posto di lavoro, dati aziendali senza autorizzazione del datore.

La Corte di Appello territoriale ha fatto applicazione di tali principi, ritenendo idonea a fondare la sanzione espulsiva non la produzione in giudizio della documentazione, ma le sue modalità di apprensione, consistenti nella registrazione della conversazione tra presenti all'insaputa dei conversanti e nell'impossessamento di un' e-mail non destinata alla visione del lavoratore, circostanze ritenute entrambe di per sè in contrasto con gli standards di comportamento imposti dal dovere di fedeltà di cui all'articolo 2105 del codice civile e da una condotta improntata a buona fede e correttezza e tali da minare irreparabilmente il rapporto fiduciario.

24 marzo 2020

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