Trattamento di fine rapporto e Fondo di Garanzia: l’INPS non può negare il pagamento dell’importo ammesso al passivo del fallimento. Vittoria in Tribunale per lo Studio Legale Carozza.
Tribunale di Napoli Nord, sentenza 1858 del 2018.
Un operaio era stato alle dipendenze di una società edile e dopo le sue dimissioni non aveva percepito il TFR.
Il lavoratore veniva affidato dalla Filca Cisl di Napoli alle cure dello Studio Legale Carozza.
La società datrice di lavoro dell’interessato veniva dichiarata fallita. In relazione al credito per trattamento di fine rapporto, l’operaio otteneva l’ammissione allo stato passivo esecutivo.
Il medesimo presentava domanda telematica ai sensi della legge 297/82 richiedendo all’INPS l’intervento del Fondo di garanzia.
L’INPS, tuttavia, accoglieva solo parzialmente la richiesta con la liquidazione di euro 762,52 in luogo della cifra di euro 9.367,97 per la quale vi era stata ammissione al passivo.
Veniva promosso ricorso amministrativo e, stante l’assenza di riscontro da parte dell’ente, essendosi compiuto l’iter amministrativo, veniva adito il Giudice del Lavoro.
Si costituiva l’Inps rilevando che le ragioni del pagamento del TFR per una limitata quota era dovuta dall’adesione dell’operaio a forma di previdenza complementare a cui andava versata la restate parte del TFR.
La difesa del lavoratore sosteneva che il diniego opposto dall'INPS al diritto del lavoratore era illegittimo perché non poteva essere contestato il credito da TFR una volta ammesso al passivo fallimentare.
Il comportamento dell'INPS aveva violato la legge 297/1982 anche come costantemente interpretato dalla Suprema Corte.
Nel giudizio conseguente al diniego di corresponsione del trattamento di fine rapporto da parte del Fondo di garanzia, non possono essere oggetto di ulteriore valutazione i presupposti fattuali, che hanno determinato l'ammissione al passivo del credito.
L'esecutività dello stato passivo che abbia accertato in sede fallimentare l'esistenza e l'ammontare d'un credito (nella specie, per trattamento di fine rapporto) in favore del dipendente dell'imprenditore dichiarato fallito comporta il subentro dell'INPS nel debito del datore di lavoro insolvente, senza che l'Istituto previdenziale possa contestare l'assoggettabilità alla procedura concorsuale e l'accertamento ivi operato, al quale resta vincolato.
Il diritto del lavoratore alla prestazione del Fondo di garanzia dell'Inps, in caso di insolvenza del datore di lavoro, sorge ove il credito sia stato accertato nell'ambito della procedura concorsuale, secondo le specifiche regole di quest'ultima. Ciò è sufficiente a sorreggere la pretesa di pagamento del lavoratore nei confronti del Fondo, in coerenza con i principi comunitari in materia, volti a garantire al lavoratore l'adempimento dei crediti retributivi in caso di insolvenza datoriale, l'avvenuta ammissione del credito al passivo, senza la necessità di una preventiva informazione all'Istituto previdenziale della sussistenza dei presupposti e della misura del credito.
Il Tribunale ha, dunque, ritenuto le eccezioni spiegate dall’INPS in ordine al presunto difetto di legittimazione non accoglibili in quanto l’ente non ha documentato né provato in alcun modo l’esistenza dei fatti estintivi addotti solo genericamente allegati in fatto. Nessun elemento documentale è stato versato in atti da cui desumere l’adesione a forme di previdenza complementare tale da vincolare importi sul TFR.
Il lavoratore ha provato, invece, la sussistenza del requisito riguardante la propria ammissione allo stato passivo producendo agli atti la sentenza di ammissione al passivo.
Il Giudice del Lavoro ha accolto la domanda del lavoratore sussistendo i requisiti per ammissione al fondo di garanzia, trattandosi di richiesta di TFR già accertata nel suo ammontare con lo stato passivo reso esecutivo. L’INPS è stata condannata al pagamento in favore dell’interessato della restante somma ancora dovuta di euro 8.605,35 a titolo di TFR oltre interessi e rivalutazione.
18 giugno 2018