TFR e Fondo di Garanzia: l’INPS non può contestare il credito del lavoratore ammesso al passivo del fallimento. Vittoria in Tribunale per lo Studio Legale Carozza.
Tribunale di Nola, sentenza 98 del 2020.
Un operaio, assistito dalla Filca Cisl Napoli, era stato alle dipendenze di una società poi dichiarata fallita.
Il lavoratore veniva ammesso al passivo del fallimento dal Tribunale di Napoli per l’intero credito inerente il trattamento di fine rapporto.
L’interessato inoltrava domanda all’INPS per il il pagamento del TFR, ma l’INPS provvedeva alla erogazione di una somma minore rispetto a quella dovuta.
Il lavoratore veniva affidato alle cure dello Studio Legale Carozza.
Veniva proposto ricorso giudiziario contro l’INPS per il pagamento dell’importo residuo di TFR.
L’INPS si costituiva in giudizio deducendo che l’omesso pagamento del residuo ammesso al passivo era dovuto al mancato verificarsi di tutti i requisiti e presupposti per l’intervento del Fondo di Garanzia e rilevando che dovesse intervenire per la quota di TFR non pagata il Fondo di Tesoreria.
Il Giudice del Lavoro ha accolto il ricorso.
Quando il lavoratore si rivolge all'INPS, in caso di insolvenza del datore di lavoro, per ottenere la
corresponsione del TFR, ovvero le ultime tre mensilità di retribuzione, la facoltà riconosciuta al
dipendente ha natura di un diritto di credito a una prestazione previdenziale ed è del tutto distinto e
autonomo rispetto al credito che il lavoratore vanta nei confronti del datore. Tale diritto si
perfeziona non con la cessazione del rapporto di lavoro, ma al verificarsi dei presupposti indicati
dalla legge, ovvero: insolvenza del datore, verifica dell’esistenza e misura del credito in sede di
ammissione al passivo o all’esito di procedura esecutiva, esecutività dello stato passivo come
approvato.
Nel caso affrontato, il lavoratore ha documentato l’insolvenza del datore, che ha dato luogo alla
dichiarazione di fallimento della società datrice di lavoro, la verifica operata dal
Giudice delegato in sede di ammissione al passivo, nonché
il conseguente provvedimento di ammissione, per l’importo richiesto in ricorso, con ciò
adempiendo al proprio onere probatorio.
Di contro l’INPS nulla di puntuale ha dedotto in ordine al mancato pagamento dell’intero importo
ammesso al passivo adducendo generiche ragioni ostative da rintracciarsi nel mancato verificarsi di
non meglio precisati presupposti per l’intervento del Fondo.
Nella fattispecie de qua, invero, il ricorrente è stato ammesso al passivo per l’intera quota di TFR maturata alla cessazione del rapporto così come richiesta.
A ciò aggiungasi che la somma complessiva accertata dagli organi fallimentari non può più essere
messa in discussione da parte dell’Istituto.
L'esecutività dello stato passivo che abbia accertato in sede fallimentare l'esistenza e l'ammontare d'un credito (nella specie, per trattamento di fine rapporto) in favore del dipendente dell'imprenditore dichiarato fallito comporta, ai sensi dell'articolo 2 della legge 297/1982, il
subentro dell'INPS nel debito del datore di lavoro insolvente, senza che l'istituto previdenziale possa
contestare l'assoggettabilità alla procedura concorsuale e l'accertamento ivi operato, al quale resta
vincolato.
Il Tribunale ha ritenuto presenti tutti gli elementi per ritenere accoglibile la domanda promossa in favore del lavoratore ed ha condannato l’INPS al pagamento dell’importo residuo a titolo di TFR.
31 gennaio 2020