Sanzione disciplinare per l'agente di polizia che durante il congedo per malattia svolge attività di arbitro di calcio.
TAR Milano, sentenza 2014 del 2018.
Un agente della Polizia di Stato impugnava il decreto con il quale il Capo della Polizia aveva disposto nei suoi confronti la sospensione dal servizio per la durata di sei mesi.
L’interessato lamentava la violazione e falsa applicazione dell'articolo 6 del DPR 737/1981 per violazione del principio di proporzionalità, erroneità dei presupposti, illogicità e ingiustizia manifesta, eccesso di potere per difetto di motivazione ed illogicità e ingiustizia manifesta del provvedimento del Consiglio provinciale di Disciplina di Varese - Questura di Varese, prodromico al Decreto emesso dal Capo della Polizia.
Il Tribunale Amministrativo Regionale ha ritenuto il ricorso infondato.
Il DPR 737/1981 regolamenta le sanzioni disciplinari per il personale dell'Amministrazione di pubblica sicurezza ed i relativi procedimenti.
L’articolo 6 dispone che la sospensione dal servizio consiste nell'allontanamento dal servizio per un periodo da uno a sei mesi, con la privazione della retribuzione mensile, salva la concessione di un assegno alimentare di importo pari alla metà dello stipendio e degli altri eventuali emolumenti valutabili, oltre gli assegni per carichi di famiglia. Il provvedimento comporta la deduzione dal computo della anzianità di un periodo pari a quello trascorso dal punito in sospensione dal servizio nonché il ritardo di due anni nella promozione o nell'aumento periodico dello stipendio o nell'attribuzione di una classe superiore di stipendio.
La sanzione disciplinare può essere inflitta per mancanze punite con la pena pecuniaria qualora rivestano carattere di particolare gravità ovvero siano reiterate o abituali, in caso di condanna, con sentenza passata in giudicato, per delitto non colposo, per denigrazione dell'Amministrazione o dei superiori, per comportamento che produce turbamento nella regolarità o nella continuità del servizio di istituto, in caso di tolleranza di abusi commessi da dipendenti, per atti contrari ai doveri derivanti dalla subordinazione, per assidua frequenza, senza necessità di servizio ed in maniera da suscitare pubblico scandalo, di persone dedite ad attività immorale o contro il buon costume ovvero di pregiudicati, per uso non terapeutico di sostanze stupefacenti o psicotrope, in caso di allontanamento, senza autorizzazione, dalla sede di servizio per un periodo superiore a cinque giorni, per omessa o ritardata presentazione in servizio per un periodo superiore a quarantotto ore e inferiore ai cinque giorni o, comunque, nei casi in cui l'omissione o la ritardata presentazione in servizio provochi gravi disservizi ovvero sia reiterata o abituale.
La sospensione dal servizio è inflitta con decreto del capo della polizia previo giudizio del consiglio provinciale di disciplina.
La sanzione disciplinare irrogata si fonda sul fatto che l'interessato, durante alcuni periodi di congedo per malattia (enteropatia tibiotarsica, colica addominale, faringite), in tre diverse occasioni ha svolto l'attività di arbitro in competizioni sportive calcistiche.
Tali reiterati episodi denotano chiaramente l'assenza di decoro richiesto agli appartenenti ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza, e ciò in ragione del dovere, su tali soggetti incombente, di costituire un esempio di serietà e rettitudine nell'espletamento della propria attività professionale.
Inoltre, l'organizzazione e l'efficienza del reparto di appartenenza dell’interessato ha oggettivamente subito un pregiudizio nel corso dei periodi di congedo per malattia dello stesso. L’agente, peraltro, in occasione dell'audizione innanzi al Consiglio di Disciplina ha riconosciuto di non essersi reso conto che le attività ludiche illegittimamente svolte avrebbero potuto aggravare le patologie di cui lo stesso sarebbe stato affetto.
Il provvedimento impugnato non può ritenersi viziato da contraddittorietà, in quanto il Capo della Polizia è sicuramente legittimato a riqualificare la condotta dell'incolpato nell'esercizio del potere sanzionatorio che la legge gli attribuisce.
Né può ravvisarsi alcuna violazione del principio di proporzionalità, alla luce della gravità dei fatti commessi e tenuto conto che originariamente nella contestazione dell'addebito si chiedeva la destituzione dell'interessato; che, peraltro, nel 2014 lo stesso Agente è stato condannato con sentenza divenuta irrevocabile per truffa ai danni dello Stato in relazione agli stessi fatti.
23 aprile 2019