Risarcimento dei danni derivanti da evento lesivo a seguito di una subita rapina a mano armata.
Corte di Cassazione, sentenza 30813 del 2021.
La Cassazione ha accolto il ricorso di un lavoratore dipendente di un istituto bancario avverso la sentenza della Corte di Appello di Bari che aveva rigettato la domanda volta a conseguire il risarcimento dei danni derivanti da evento lesivo verificatosi a seguito di una subita rapina a mano armata.
Per la Corte territoriale, la filiale ove l'evento infortunistico si era verificato era dotata di dispositivo di prevenzione con vocazione dissuasiva e protettiva, costituita da un accesso presidiato da metal detector, sistema di videoregistrazione e meccanismo di temporizzazione delle casseforti, elementi tutti idonei ad esercitare un'efficace azione di deterrenza e di prevenzione.
Il lavoratore ha interposto ricorso per cassazione deducendo che la filiale alla quale era addetto era di peculiare importanza in ambito territoriale, essendo centro di movimentazione di danaro sicuramente superiore a quello delle altre filiali del territorio. Nella stessa filiale, nei precedenti due anni, si erano già verificate altre rapine a mano armata, sicché l'azienda, solo dopo il verificarsi di ulteriori episodi, si era risolta ad assegnare ad essa una postazione di guardia giurata fissa, successivamente rimossa. La presenza di ulteriori misure di sicurezza suggerite dalle nozioni di comune esperienza avrebbe svolto un ruolo dissuasivo e protettivo da azioni aggressive e lesive della integrità psicofisica dei lavoratori. L’interessato, inoltre, ha lamentato che la Corte di Appello non avesse tenuto in conto che la presenza della vigilanza presso la filiale si era rivelata essenziale, in quanto già adottata dall'istituto di credito prima dell'evento criminoso, poi soppressa, quindi ripristinata per il ripetersi di ulteriori episodi di rapina, a seguito delle sollecitazioni ricevute dalla Prefettura di Bari e dalla stessa Direzione aziendale.
La Suprema Corte ha permesso che l’articolo 2087 del Codice civile, in materia di tutela delle condizioni di lavoro, abbraccia ogni tipo di misura utile a tutelare il diritto soggettivo dei lavoratori ad operare in un ambiente esente da rischi. L'imprenditore, quindi, è tenuto a adottare nell'esercizio dell'impresa tutte le misure che, secondo le particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. La sicurezza del lavoratore costituisce, infatti, un bene di rilevanza costituzionale che impone di anteporre l'integrità psicofisica del prestatore di lavoro al profitto dell'impresa, obbligando il datore di lavoro a adottare le opportune cautele richieste dallo specifico contesto lavorativo.
Ciò non implica che tali mezzi dovessero essere certamente in grado di impedire il verificarsi di episodi criminosi a danno del dipendente, bensì che gli stessi dovevano consistere in quelle misure che, secondo criteri di comune esperienza, potevano risultare atte a svolgere al riguardo una funzione almeno dissuasiva e, quindi, preventiva e protettiva.
L'adozione di particolari misure di sicurezza viene in rilievo, tuttavia, con riferimento a condizioni lavorative (anche solo potenzialmente) pericolose, in cui la prevedibilità del verificarsi di episodi di aggressione a scopo di lucro sia insita nella tipologia di attività esercitata dal lavoratore, in ragione della movimentazione, da parte del medesimo, di somme di denaro. La Suprema Corte ha considerato come decisiva la circostanza secondo cui presso la filiale si era susseguita una serie di rapine proprio in concomitanza dell'assenza di un presidio esterno di sicurezza, successivamente ripristinato con cessazione degli episodi delittuosi. In seguito ad un ulteriore periodo di assenza del servizio di guardiania, nel corso del quale si era verificato l'evento lesivo oggetto del caso in esame, su sollecitazioni esercitate da parte dell'autorità prefettizia, si era infine provveduto da parte datoriale alla rinnovata adozione della misura di sicurezza, all'esito della quale gli episodi criminosi erano nuovamente cessati.
La Corte di Appello, invece, ha omesso di valutare la circostanza idonea a dimostrare l'idoneità della misura di sorveglianza a rendere più difficoltoso ed aleatorio il realizzarsi di eventi criminosi analoghi, nelle loro modalità di realizzazione, a quelli in concreto verificatisi.
14 aprile 20202