Articolo

Revoca di prestazione previdenziale o assistenziale: oggetto della controversia è l'esistenza del diritto stesso alla prestazione non la legittimità del procedimento.

Cassazione, sentenza 22319 del 2016.

Una donna proponeva ricorso al Tribunale chiedendo il riconoscimento del diritto all'indennità di accompagnamento con decorrenza dalla data in cui l'INPS aveva disposto la sospensione della provvidenza per il venir meno dei requisiti sanitari così come accertato in un procedimento penale, che la vedeva imputata di truffa aggravata ed in cui era stata disposta una CTU dal Pubblico Ministero. Dagli accertamenti compiuti era emerso un miglioramento delle condizioni di salute della ricorrente che aveva recuperato la funzionalità respiratoria ed aveva pertanto riacquistato la capacità di compiere gli atti quotidiani della vita senza necessità di accompagnamento e di assistenza continua. Ciò non era contestato dall'interessata, che eccepiva solo di non aver avuto conoscenza della consulenza e che l'Inps non aveva avviato un procedimento di revisione, sottoponendola a visita. In sostanza, l'interessata lamentava solo vizi inerenti il procedimento amministrativo di revoca del benefizio.

Della controversia veniva investita la Cassazione.

In caso di revoca di una prestazione in atto, oggetto della controversia non è la legittimità dell'atto di revoca, ma la esistenza del diritto stesso alla prestazione. La domanda di ripristino della prestazione, al pari di quella concernente il diritto di ottenere per la prima volta prestazioni negate in sede amministrativa, non dà luogo ad un'impugnativa del provvedimento amministrativo di revoca, ma riguarda il diritto del cittadino ad ottenere la tutela che la legge gli accorda; il giudice è chiamato ad accertare il diritto alla prestazione, verificandone le condizioni di esistenza alla stregua dei requisiti richiesti con riguardo alla legislazione vigente al momento della nuova domanda, trattandosi del riconoscimento di un nuovo diritto diverso, ancorché identico nel contenuto, da quello estinto per revoca.

Secondo la Cassazione, nei procedenti grado di giudizio erano stato correttamente richiamate le ragioni tecniche che hanno indotto il consulente del pubblico ministero ad escludere la sussistenza del requisito sanitario necessario per l'indennità di accompagnamento.

L'interessata, d'altro canto, si era limitata a lamentare la legittimità della procedura amministrativa seguita dall'istituto previdenziale ma non aveva contestato l'oggettiva carenza dei requisiti sanitari per godere della prestazione richiesta.

La Cassazione ha, quindi, rigettato la pretesa dell'interessata.

 

* In collaborazione con la dott.sa Silvia Pilla

 

24 marzo 2017

Condividi questo articolo: