Retribuzione per il tempo di attesa e di spostamento tra i cantieri di lavoro.
Corte di Cassazione, sentenza 24828 del 2018.
Un lavoratore ha appellato la sentenza con la quale il giudice del lavoro di Lecce aveva respinto la sua domanda nei confronti dalla impresa elettromeccanica, sua datrice di lavoro, diretta ad ottenere differenze retributive anche per lavoro straordinario.
Anche la Corte d'Appello di Lecce ha rigettato le domande del lavoratore per diversi motivi: l'attività espletata dal lavoratore, consistita nella sostituzione delle lampade della pubblica illuminazione non funzionanti ed in lavori di piccola manutenzione presso vari comuni, non era legata a orari ed era gestita autonomamente dal dipendente; il tempo trascorso nei comuni, soltanto in parte dedicato ad effettive prestazioni di lavoro, non poteva essere qualificato come lavoro straordinario neanche sotto l'aspetto del lavoro di attesa; il tempo necessario per recarsi fuori sede non poteva farsi rientrare nel normale orario di lavoro, perché il lavoratore non era obbligato a passare dalla sede aziendale all'inizio e al termine della giornata lavorativa, giacché custodiva presso il proprio domicilio dell'automezzo di servizio.
La Corte di Cassazione ha accolto, invece, il ricorso del lavoratore rinviando il procedimento alla Corte di Appello per stabilire precisamente la durata oraria complessiva dell'attività lavorativa da retribuire.
La Suprema Corte ha rilevato, anzitutto, l’errore della Corte di Appello che, pur essendo pacifica la natura subordinata del rapporto di lavoro in questione, ha ritenuto rilevante l’autonomia organizzativa del lavoratore in funzione dei risultati da raggiungere, dimenticando che l'obbligazione a carico del prestatore di lavoro subordinato è di mezzi, non già di risultato. Il lavoratore subordinato è tenuto ad una obbligazione di mezzi e non di risultato. Il corrispettivo dovuto, ossia la retribuzione spettante al lavoratore, è da commisurare alla durata temporale della messa a disposizione delle energie lavorative.
Non risultando, nel caso affrontato, alcuna specifica inadempienza (assenze o ritardi) dal dipendente, la prestazione di lavoro era da misurare in relazione a tutta la sua necessaria effettiva durata.
La prestazione del lavoratore doveva essere remunerata in misura corrispondente al tempo complessivo di messa a disposizione delle energie lavorative occorrenti finalizzata allo svolgimento dei compiti più strettamente operativi previsti (sostituzione delle lampade e piccola manutenzione).
E’ priva di rilevanza la circostanza che l'automezzo di servizio (evidentemente di proprietà datoriale) si trovasse nella immediata disponibilità del lavoratore, presso il suo domicilio, fatto che anzi dimostra come l'inizio della prestazione oraria avesse luogo, direttamente, proprio con il mettersi alla guida del veicolo, perciò senza bisogno di recarsi presso la sede aziendale, al fine di spostarsi in comuni diversi (sia dalla dimora del lavoratore, sia dal domicilio del suo datore) per rimanervi a disposizione.
Ai fini della misurazione dell'orario di lavoro, il decreto legislativo 66/2003 attribuisce un espresso e alternativo rilievo non solo al tempo della prestazione effettiva, ma anche a quello della disponibilità del lavoratore e della sua presenza sui luoghi di lavoro.
Il decreto legislativo 66/2003, in attuazione della direttiva comunitaria 93/104/CE, definisce l'orario di lavoro come qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della sua attività o delle sue finzioni.
Il criterio di misurazione dell'orario di lavoro risulta composito, assumendo espresso e alternativo rilievo non solo il tempo della prestazione effettiva, ma anche quello della disponibilità del lavoratore e quello della sua presenza sui luoghi di lavoro.
Pure i lavori discontinui o di semplice attesa e custodia sono a tutti gli effetti compresi nella nozione di orario di lavoro e costituiscono lavoro effettivo e come tale da retribuirsi.
Il criterio distintivo tra riposo intermedio, non computabile ai fini della determinazione della durata del lavoro, e semplice temporanea inattività, computabile, invece, a tali fini, consiste nella diversa condizione in cui si trova il lavoratore, il quale, nel primo caso, può disporre liberamente di se stesso per un certo periodo di tempo anche se è costretto a rimanere nella sede del lavoro o a subire una qualche limitazione, mentre, nel secondo, pur restando inoperoso, è obbligato a tenere costantemente disponibile la propria forza di lavoro per ogni richiesta o necessità.
Ha un espresso ed alternativo rilievo non solo al tempo della prestazione effettiva ma anche a quello della disponibilità del lavoratore e della sua presenza sui luoghi di lavoro; di conseguenza, è da considerarsi orario di lavoro l'arco temporale comunque trascorso dal lavoratore medesimo all'interno dell'azienda nell'espletamento di attività prodromiche ed accessorie allo svolgimento delle mansioni affidategli, ove il datore di lavoro non provi che egli sia ivi libero di autodeterminarsi ovvero non assoggettato al potere gerarchico.
21 dicembre 2018