Articolo

Reato di estorsione del datore di lavoro che costringe il lavoratore infortunato a dichiarare il falso al Pronto Soccorso.

Corte di Cassazione, sentenza 2217 del 2019.

La Corte di Appello di Messina confermava la responsabilità dell’amministratore di una società di costruzioni in ordine al reato di estorsione, per avere costretto con minacce un dipendente, a dichiarare il falso ai sanitari del Pronto Soccorso presso il quale si era recato, sulle cause di un infortunio sul lavoro dallo stesso subito, al fine di evitare problemi al cantiere, posto che non erano state osservate le norme antinfortunistiche secondo quanto emerso a proposito degli altri reati.

L’amministratore della società ricorreva per cassazione lamentando che la Corte di Appello avrebbe affidato la valutazione soltanto alle incerte e contraddittorie dichiarazioni della persona offesa, senza considerare che non vi sarebbe stata alcuna minaccia da parte dell'imputato nei confronti del proprio lavoratore, il quale, spontaneamente e senza alcun previo colloquio con l’amministratore, si sarebbe determinato a dichiarare il falso ai sanitari per ottenere maggiori vantaggi lavorativi anche di tipo economico che gli sarebbero stati promessi dall'imputato.

Lo stesso amministratore invocava l’inutilizzabilità delle dichiarazioni della persona offesa, tenuto conto che costei, essendo stata l'autrice materiale del falso dichiarativo, avrebbe fin dall'inizio dovuto assumere la qualità di indagata.

Il medesimo, ancora, deduceva l’errata qualificazione giuridica del fatto come estorsione, mancando la minaccia ed anche il dolo, tenuto conto che la condotta dell'imputato sarebbe stata orientata a trovare una intesa con il lavoratore piuttosto che tesa a coartarne la volontà.

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso dell’amministratore della società infondato.

L’imputato è stato condannato in entrambi i gradi di giudizio con conforme decisione.

Dalla lettura della sentenza di primo grado, emerge chiaramente come l’amministratore della società, presente al Pronto Soccorso ove la vittima si era recata dopo l'incidente sul lavoro, avesse minacciato l’operaio di licenziamento se non avesse dichiarato il falso e, cioè, di essersi procurato le lesioni in ambito domestico.

Tale assunto, tratto dalla analisi del fatto non è stato smentito dalla Corte di Appello, in quanto i giudici di secondo grado hanno solo affermato che l’estorsione poteva realizzarsi anche laddove siffatta minaccia fosse stata solo implicita e preminenti piuttosto le rassicurazioni che la persona offesa avrebbe comunque avuto quanto gli spettava sul piano retributivo.

Risultano smentiti gli assunti dell’amministratore della società, secondo i quali, da un lato, la vittima avrebbe dichiarato il falso spontaneamente e senza previe interlocuzioni con il suo datore di lavoro; dall'altro, il fatto che l'imputato non avesse minacciato la persona offesa. Viceversa, l'esistenza della minaccia attraverso la raffigurazione di un male ingiusto costituito dal licenziamento, configura il reato estorsivo.

Il lavoratore, ovvero la persona offesa, aveva reso le false dichiarazioni ai sanitari perché coartata nella sua volontà da un fatto illecito altrui, per l'appunto l'estorsione, sicché doveva escludersi, ora come al momento delle dichiarazioni rese in fase di indagini, che sussistesse in capo al dichiarante l'elemento soggettivo di dichiarare il falso per commettere un reato e, conseguentemente, che l’operaio potesse assumere la qualità di persona indagata al momento in cui aveva reso le prime dichiarazioni. 

31 gennaio 2020

Condividi questo articolo: