Pubblico Impiego: trasferimento per incompatibilità ambientale.
Corte di Cassazione, sentenza 27345 del 2019.
Il Tribunale di Roma accoglieva la domanda proposta da un dipendente del Ministero degli affari esteri avverso un provvedimento di trasferimento e dichiarava il diritto dello stesso a rimanere in servizio presso il Consolato d'Italia in Scutari, con condanna dell'Amministrazione al pagamento delle differenze retributive per il periodo successivo al trasferimento in ragione di quello che avrebbe percepito qualora avesse proseguito l'attività lavorativa presso l'indicato Consolato.
Il Tribunale riteneva la natura disciplinare del trasferimento, non ravvisando ragioni organizzative diverse da quelle che avevano determinato l'avvio del procedimento disciplinare, come reso evidente dalla vicinanza cronologica di quest'ultimo.
La Corte d'Appello accoglieva l’appello del Ministero e respingeva le originarie domande, richiamando la giurisprudenza di legittimità sul trasferimento per incompatibilità aziendale (mancanza di colpa del lavoratore; mancata previsione di garanzie procedimentali e sostanziali; ragionevolezza delle scelta di trasferimento sul piano tecnico, organizzativo e produttivo; compatibilità del trasferimento con il procedimento disciplinare e la sanzione disciplinare).
La Corte di Appello disattendeva la decisione del Tribunale che aveva dichiarato illegittimo il trasferimento ritenendolo sanzionatorio per il solo fatto che fosse stato disposto in relazione a fatti oggetto anche di procedimento disciplinare; né riteneva necessario che fosse definito il procedimento disciplinare prima di disporre il trasferimento. Il Tribunale aveva operato una confusione tra i presupposti che legittimano l'adozione del provvedimento disciplinare (accertamento della inadempienza e della responsabilità) e quelli che giustificano l'assegnazione del dipendente ad altra sede di servizio, purché fondata su ragioni obiettive e non pretestuose attinenti alla organizzazione dell'azienda o dell'ufficio.
La Corte di Appello affermava che vi erano circostanze idonee a generare quel clima di sfiducia tra il dipendente, il Console e l'Amministrazione, pregiudizievole per il buon andamento ed il prestigio della struttura.
Il lavoratore promuoveva ricorso per cassazione che è stato respinto dalla Suprema Corte.
Sia con riguardo al lavoro privato che al pubblico impiego privatizzato il trasferimento per incompatibilità aziendale/ambientale, trovando la sua ragione nello stato di disorganizzazione e disfunzione dell'unità produttiva/dell'Amministrazione, va ricondotto alle esigenze tecniche, organizzative e produttive, di cui all'articolo 2103 del codice civile, piuttosto che, sia pure atipicamente, a ragioni punitive e disciplinari, con la conseguenza che la legittimità del provvedimento datoriale di trasferimento prescinde dalla colpa (in senso lato) dei lavoratori trasferiti, come dall'osservanza di qualsiasi altra garanzia sostanziale o procedimentale che sia stabilita per le sanzioni disciplinari.
Il trasferimento, peraltro, è subordinato ad una valutazione discrezionale dei fatti che fanno ritenere nociva, per il prestigio ed il buon andamento dell'ufficio, l'ulteriore permanenza dell'impiegato in una determinata sede.
La sussistenza di una situazione di incompatibilità tra il lavoratore ed i suoi colleghi o collaboratori diretti, che importi tensioni personali o anche contrasti nell'ambiente di lavoro comportanti disorganizzazione e disfunzione, concretizza un'oggettiva esigenza di modifica del luogo di lavoro e va valutata in base al disposto dell'articolo 2103 del codice civile, con conseguente possibilità di trasferimento del lavoratore, sulla base di comprovate ragioni tecniche organizzative e produttive.
La situazione di incompatibilità riguarda situazioni oggettive o situazioni soggettive valutate secondo un criterio oggettivo, indipendentemente dalla colpevolezza o dalla violazione di doveri d'ufficio del lavoratore, causa di disfunzione e disorganizzazione, non compatibile con il normale svolgimento dell'attività lavorativa.
Il trasferimento del dipendente veniva disposto dal Ministero con specifico riferimento alle gravi carenze nelle pratiche relative ai visti rilasciai dallo stesso, a seguito delle quali il Ministero ha ritenuto sussistenti ragioni organizzative, produttive e di servizio, tali da rendere necessario il richiamo dalla sede estera.
All'esito dei controlli sui visti rilasciati a cittadini albanesi, erano state individuate 59 pratiche di visti concessi sulla base di documentazione bancaria e di certificazioni mediche palesemente contraffatte. Inoltre, sussisteva il mancato rientro in Albania di 49 cittadini albanesi, ai quali il visto era stato rilasciato sulla base di una istruttoria non adeguata, per cui risultava compromessa l'immagine dell'amministrazione del Paese. Il Console aveva evidenziato che erano giunte voci circa il coinvolgimento del dipendente in un presunto traffico di visti. I Carabinieri avevano riferito che fonti anonime avevano segnalato la avvenuta vendita di un visto.
L’articolo 2103 del codice civile incita le ragioni fondanti il trasferimento ambientale, che è la misura adottata per ovviare ad una situazione in cui l'ulteriore permanenza dell'impiegato in una determinata sede pregiudica il buon andamento dell'ufficio, nozione a cui vanno riferite nel pubblico impiego privatizzato, in ragione dell'articolo 97 della Costituzione, le ragioni tecniche organizzative e produttive.
I fatti contestati al lavoratore integravano le ragioni previste da tale norma come fondamento legittimo del trasferimento per incompatibilità ambientale, atteso che emergevano circostanze idonee a generare quel clima di sfiducia fra il lavoratore, il Console e l'Amministrazione, pregiudizievole per il buon andamento e il prestigio della struttura.
16 dicembre 2019