Pubblico impiego: per la ripetizione di somme non dovute si applica la prescrizione ordinaria decennale.
Consiglio di Stato, sentenza 27 del 2018.
Con ordinanza commissariale fu disposta una serie di promozioni di grado del personale militare di assistenza della Croce Rossa Italiana, con susseguente disposizione di pagamento delle competenze e degli arretrati connessi alle promozioni.
A seguito dell’ispezione del competente Servizio Ispettivo di Finanza Pubblica, tuttavia, veniva disposto l’annullamento della citata ordinanza e di tutte le conseguenti promozioni del personale perchè in adottate in violazione della specifica normativa applicabile.
Si procedeva, dunque, a reinquadrare giuridicamente il personale militare in questione, operando anche un calcolo delle somme da ripetere per effetto delle illegittime promozioni attribuite.
Gli ufficiali interessati del Corpo Militare della Croce Rossa Italiana impugnavano la sentenza, con la quale il TAR per il Lazio aveva respinto il loro ricorso volto ad ottenere l’annullamento dell’ordinanza che revocava i provvedimento di promozione ed adeguamento stipendiale. La sentenza del TAR confermava che occorreva procedere al recupero delle somme illegittimamente percepite dai militari a seguito dell’illegittimo riconoscimento del grado.
Il Consiglio di Stato ha rigettato il gravame proposto dagli interessati.
E’ consolidato in giurisprudenza il principio per cui il diritto alla repetitio indebiti da parte della pubblica amministrazione, a norma dell’articolo 2946 del codice civile, è soggetto a prescrizione ordinaria decennale il cui termine decorre dal giorno in cui le somme sono state materialmente erogate.
Più specificamente, l’azione di ripetizione di indebito ha come suo fondamento l’inesistenza dell’obbligazione adempiuta da una parte, o perché il vincolo obbligatorio non è mai sorto o perché è venuto meno successivamente, a seguito ad esempio di annullamento.
Nel caso di specie, l’erogazione delle somme è avvenuta in esecuzione dell’ordinanza del 2003, con la quale era stato disposto l’inquadramento nelle rispettive posizioni superiori, ai fini sia giuridici che economici, di militari che all’esito delle procedure di avanzamento a suo tempo espletate erano risultati semplicemente idonei ma non promossi. E poiché l’ordinanza che ha annullato l’erogazione delle somme è stata emanata nel 2012, l’attività di ripetizione è certamente tempestiva rispetto al termine decennale previsto dall’articolo 2946 del codice civile.
Consolidato è anche l’indirizzo giurisprudenziale che considera quale atto dovuto l’esercizio del diritto-dovere dell’Amministrazione di ripetere le somme indebitamente corrisposte ai pubblici dipendenti. Il recupero di tali somme costituisce il risultato di attività amministrativa, di verifica, di controllo, priva di valenza provvedimentale ed in tali ipotesi l’interesse pubblico è in re ipsa e non richiede specifica motivazione. Infatti, a prescindere dal tempo trascorso, l’oggetto del recupero produce di per sé un danno all’Amministrazione, consistente nell’esborso di denaro pubblico senza titolo ed un vantaggio ingiustificato per il dipendente. Si tratta dunque di un atto dovuto che non lascia all’Amministrazione alcuna discrezionale facultas agendi e, anzi, configura il mancato recupero delle somme illegittimamente erogate come danno erariale; il solo temperamento ammesso è costituito dalla regola per cui le modalità di recupero non devono essere eccessivamente onerose, in relazione alle condizioni di vita del debitore.
Inoltre, l’affidamento del pubblico dipendente e la stessa buona fede non sono di ostacolo all’esercizio del potere-dovere di recupero: l’Amministrazione non è tenuta a fornire un’ulteriore motivazione sull’elemento soggettivo riconducibile all’interessato.
18 giugno 2018