Pubblico Impiego: obblighi contributivi e valutazione ai fini pensionistici e previdenziali (TFS/TFR) del periodo trascorso in sospensione cautelare per i lavoratori per i quali pende un giudizio innanzi all’autorità giudiziaria.
INPS, messaggio 2161 del 2018.
Con la circolare 6/2014, l’Istituto, nell’effettuare una ricognizione delle disposizioni relative alla Gestione pubblica, tra i redditi imponibili ai fini pensionistici indica anche l’assegno alimentare corrisposto durante il periodo di sospensione cautelare per procedimento giudiziario in corso. Con tale indicazione l’Istituto ha inteso estendere alla Gestione pubblica la regola vigente per le pensioni della Gestione privata in tema di imponibilità ai fini pensionistici dell’assegno di cui trattasi.
La disciplina della sospensione cautelare e la misura del trattamento erogato si rinvengono, per gli impiegati pubblici, in fonti normative generali, in disposizioni speciali per alcune categorie di lavoratori, come per il personale delle Forze armate e dei corpi di polizia ad ordinamento militare, nonché in disposizioni dei CCNL per il personale contrattualizzato.
Considerato che la sospensione cautelare disposta in via discrezionale dal datore di lavoro è una misura provvisoria, per definire la valutabilità dei periodi in questione è necessario attendere la decisione definitiva dell’Amministrazione di appartenenza, decisione che consente di regolare in modo stabile il rapporto tra Amministrazione e lavoratore.
La sospensione cautelare non ha natura sanzionatoria, essendo tesa a tutelare i tipici interessi amministrativi di credibilità dell’Amministrazione e di fiducia dei cittadini nelle istituzioni e negli apparati pubblici.
Quando il lavoratore non è colpito da misure restrittive della libertà personale o la sospensione obbligatoria dal servizio non sia prevista da alcuna fonte normativa, il datore di lavoro ha solo la facoltà di sospendere il dipendente in relazione ai fatti contestati. In particolare, per i casi in cui pende un procedimento giudiziario, il datore di lavoro, se ritiene di non disporre di elementi sufficienti per irrogare la sanzione, dopo aver avviato il procedimento disciplinare può sospenderlo in attesa della definizione del procedimento penale e disporre in via cautelativa la sospensione del dipendente.
Il dipendente sospeso cautelativamente dal servizio è privato dello stipendio. Durante il periodo di sospensione è prevista la corresponsione di un assegno alimentare, la cui misura è stabilita da disposizioni legislative ovvero dai CCNL.
Nella circolare 326/E del 1997, il Ministero dell’economia e delle finanze precisa che l’assegno alimentare, corrisposto ai dipendenti sospesi in via cautelare dal servizio e per i quali pende giudizio innanzi all’autorità giudiziaria, costituisce reddito di lavoro dipendente e, come tale, è assoggettato alla relativa tassazione.
Anche per i lavoratori iscritti alle Casse pensionistiche della Gestione Pubblica l’assegno alimentare, erogato nel caso di sospensione cautelare per procedimento giudiziario in corso, è imponibile ai fini pensionistici.
Da tale circostanza consegue che l’assegno alimentare in argomento è imponibile anche ai fini della gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali e dell’assicurazione sociale vita (ex ENPDEP). Analogamente, l’assegno è imponibile ai fini dell’assistenza magistrale (ex ENAM).
L’assegno alimentare non è imponibile, invece, ai fini previdenziali, per i dipendenti civili iscritti alle gestioni ex INADEL ed ex ENPAS. L’assegno alimentare non rientra infatti tra gli elementi della retribuzione contributiva utile ai fini del TFS.
Parimenti, anche in tema di TFR, detto assegno non è ricompreso tra gli emolumenti utili di cui all’ Accordo quadro nazionale in materia di trattamento di fine rapporto e di previdenza complementare per i dipendenti pubblici, né nei contratti collettivi nazionali del pubblico impiego.
Le disposizioni in materia di imponibilità degli assegni erogati durante i periodi di sospensione cautelare per procedimento giudiziario in corso non comportano, tuttavia, la valutabilità dei periodi per le prestazioni relative alle casse pensionistiche dei dipendenti pubblici (CPDEL, CPI, CPS, CPUG, CTPS).
Si fa riferimento, in particolare, a quanto disposto dal RDL 680/1938, ai sensi del quale i periodi di tempo trascorsi in sospensione dall’impiego non sono calcolati. delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato.
In sintesi, per i dipendenti civili iscritti alla Gestione pubblica i periodi di sospensione cautelare per procedimento giudiziario in corso non possono essere considerati utili ai fini pensionistici, ancorché sussista l’obbligo di versare i relativi contributi, al pari degli altri periodi di sospensione facoltativa o obbligatoria.
I periodi di sospensione cautelare non sono utili neppure ai fini previdenziali per le medesime ragioni con riferimento al TFS ed al TFR.
L’Amministrazione di appartenenza del personale militare, anche prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 314/1997, era tenuta a versare i contributi ai fini pensionistici anche durante il periodo di sospensione cautelare, in quanto il DPR 1092/1973 riconosceva per i militari l’utilità del periodo di sospensione.
Per il personale militare tali disposizioni sono state confermate dal d.lgs. 66/2010. Durante la sospensione dall'impiego, al personale militare compete la metà degli assegni a carattere fisso e continuativo. Agli effetti della pensione, il tempo trascorso in sospensione dal servizio è computato per metà.
Anche ai fini dell’indennità di buonuscita il periodo trascorso durante la sospensione dall’impiego è computato in ragione della metà, ai sensi dell’articolo della legge 1407/1956,
In sintesi, per il personale militare, l’assegno corrisposto durante i periodi di sospensione cautelare è imponibile sia ai fini pensionistici sia ai fini previdenziali per l’erogazione dell’indennità di buonuscita.
Se alla sospensione precauzionale fa seguito la destituzione dall’impiego con effetto retroattivo, il periodo di sospensione in argomento non è utile ai fini delle prestazioni di quiescenza e previdenza e l’Amministrazione può recuperare i contributi versati.
Nei casi di destituzione con effetto non retroattivo, i periodi di sospensione cautelare dall’impiego che si collocano prima della data da cui decorre la destituzione sono comunque utili al cinquanta per cento.
Ove sia stata disposta la perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari nei riguardi di un soggetto già sospeso dall’impiego a titolo precauzionale, la stessa produce effetti ex tunc, ossia dal momento in cui è stata adottata tale misura cautelare.
Il periodo in cui il soggetto viene riammesso in servizio deve essere computato relativamente al trattamento di quiescenza e previdenza.
Nel caso in cui, a seguito dell’adozione di un provvedimento definitivo che incida sul periodo di sospensione cautelare, il datore di lavoro disponga la restitutio in integrum, il lavoratore ha diritto al trattamento retributivo che avrebbe percepito se fosse rimasto in servizio. Dal trattamento spettante sarà portato in detrazione quanto corrisposto durante il periodo di sospensione cautelare, a titolo di assegno alimentare.
A seguito della restitutio in integrum è necessario denunciare, per il lavoratore interessato, la nuova posizione discendente dal provvedimento definitivo, per rendere i periodi interessati dalla restitutio in integrum utili ai fini pensionistici e della erogazione delle prestazioni di fine servizio (TFS/TFR).
Il versamento dei contributi deve essere effettuato sul differenziale erogato sia ai fini della gestione pensionistica sia per la gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali, dell’assicurazione sociale vita (ex ENPDEP) e dell’assistenza magistrale (ex ENAM).
Nel caso in cui il datore di lavoro adotti un provvedimento disciplinare di licenziamento o di destituzione, può richiedere la restituzione dei contributi pagati per le somme erogate durante i periodi di sospensione cautelare che si collocano dopo la data di cessazione del rapporto di lavoro per effetto della retroattività del licenziamento.
Eventuali periodi di servizio resi dal dipendente a seguito della riammissione in servizio, per revoca del provvedimento di sospensione cautelare, sono utili ai fini del trattamento di quiescenza e previdenza anche se, per effetto della retroattività del licenziamento o destituzione, si collocano dopo la data di cessazione del rapporto di lavoro. Ciò in quanto si tratta di servizi effettivamente resi dal dipendente.
In questo caso, tali periodi sono valutati ai fini pensionistici e previdenziali in quanto connessi ad un’attività lavorativa svolta temporaneamente e sotto condizione risolutiva, che si configura come un autonomo servizio non ricollegabile al precedente rapporto di pubblico impiego. Tale fattispecie rientra nella sfera di applicazione dell'articolo 2126 del codice civile, che riconosce al lavoratore il diritto al trattamento retributivo e alla contribuzione previdenziale per il tempo in cui il rapporto stesso ha avuto materiale esecuzione.
Nel caso in cui il datore di lavoro sospenda il dipendente, a seguito della definizione del procedimento disciplinare riavviato o riaperto, e il periodo di sospensione sia inferiore al periodo di sospensione cautelare disposto in precedenza, i periodi che eccedono la sospensione irrogata dal provvedimento disciplinare sono utili ai fini del trattamento di quiescenza e previdenza nella sola ipotesi di ricostruzione della carriera.
4 giugno 2018