Pubblico impiego: licenziamento per mancata ottemperanza agli ordini del superiore.
Corte di Cassazione, sentenza 9736 del 2018.
La Corte di appello di Roma dichiarava la nullità del licenziamento intimato dal Comune di Sperlonga ad una dipendente.
L’interessata aveva adito il Giudice del lavoro presso il Tribunale di Latina e, premesso di avere svolto funzioni di Comandante della Polizia Municipale del Comune di Sperlonga dal 2000, aveva dedotto che a partire dal maggio 2003 il Sindaco e il Segretario Comunale avevano iniziato a tenere nei suoi confronti atteggiamenti vessatori costituenti mobbing, attraverso l’imposizione di ordini professionalmente dequalificanti e la privazione di funzioni istituzionali, fino al licenziamento irrogato per mancata ottemperanza agli ordini del superiore ed assenze ingiustificate dal servizio.
La lavoratrice aveva esposto che, non essendosi uniformata alle direttive del Sindaco, in data 14 novembre 2003 aveva ricevuto la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per n. 5 giorni e in data 31 marzo 2004 la medesima sanzione per n. 10 giorni, fino ad arrivare al licenziamento del 5 maggio 2004 preceduto da due contestazioni.
La Corte di appello di Roma dichiarava la nullità del licenziamento intimato dal Comune alla dipendente.
Veniva proposta dall’Ente Locale ricorso per Cassazione,
La Suprema Corte ha affermato che la Corte di Appello è incorsa in una violazione di legge laddove ha affermato che il dipendente che non condivida direttive o istruzioni impartite dal superiore ovvero dal datore di lavoro ovvero le ritenga dequalificanti abbia il potere o il diritto di disattenderle in luogo del più limitato diritto di azionare i rimedi giurisdizionali predisposti dall’ordinamento per l’accertamento della illegittimità di tali direttive o istruzioni ai fini dell’annullamento.
Nell’ambito del rapporto di lavoro privato, la nozione di insubordinazione non può essere limitata al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori, ma implica necessariamente anche qualsiasi altro comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione ed il corretto svolgimento di dette disposizioni nel quadro della organizzazione aziendale. Più in generale il lavoratore può chiedere giudizialmente l’accertamento della legittimità di un provvedimento datoriale che ritenga illegittimo, ma non lo autorizza a rifiutarsi aprioristicamente, e senza un eventuale avallo giudiziario (conseguibile anche in via d’urgenza), di eseguire la prestazione lavorativa richiesta, in quanto egli è tenuto ad osservare le disposizioni impartite dall’imprenditore, e può legittimamente invocare l’eccezione di inadempimento solo nel caso in cui l’inadempimento del datore di lavoro sia totale.
Tali principi trovano applicazione, secondo la Suprema Corte, nel rapporto di pubblico impiego privatizzato, anche in ragione del rinvio operato dal d.lgs. 165/01.
E’ onere del lavoratore, allora, soprattutto se dipendente di un ente pubblico, spiegare le ragioni per cui abbia disatteso ordini di servizio o direttive impartitegli creando turbamento alla regolarità e continuità del servizio.
Nel procedimento affrontato, d’altronde, non risultava che fosse stato richiesto alla dipendente di porre in essere fatti costituenti reato o comunque comportamenti contrari ai doveri di diligenza e fedeltà per l’amministrazione.
La Corte di Cassazione ha, dunque, accolto il ricorso del Comune di Sperlonga.
26 aprile 2018