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Pubblico impiego: licenziamento del medico che ha svolto incarichi esterni non autorizzati.

Corte di Cassazione, sentenza 20880 del 2018.

La Corte di Appello di Firenze respingeva il reclamo proposto da un medico avverso la sentenza del Tribunale che aveva confermato l'ordinanza di rigetto del ricorso volto ad ottenere l'annullamento del licenziamento intimato dall’ente pubblico strumentale datore di lavoro.

La sanzione disciplinare era stata inflitta perché negli anni precedenti il medico aveva svolto, senza preventiva autorizzazione del datore di lavoro, l'incarico di medico penitenziario, percependo compensi superiori. Nel caso non veniva in rilievo il rapporto con l'amministrazione penitenziaria bensì quello instaurato con l’ente pubblico datore di lavoro, caratterizzato dal principio di esclusività. Il medico, pertanto, avrebbe dovuto domandare al datore di lavoro pubblico l'autorizzazione allo svolgimento o alla conservazione dell'altro incarico. La Corte di Appello riteneva la sanzione espulsiva proporzionata all'addebito contestato ed evidenziava che le fattispecie tipizzate dall'articolo 55 quater del d.lgs. 165/2001 non costituiscono un numero chiuso, in quanto lo stesso legislatore ha mantenuto ferma la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo e ha fatto salve le ulteriori ipotesi previste dai contratti collettivi. Il medico aveva svolto un elevato numero di incarichi, produttivi di redditi consistenti, pur essendo consapevole della necessità dell'autorizzazione, circostanza questa desumibile dalla richiesta di chiarimenti inoltrata precedentemente.

Il medico proponeva ricorso per la cassazione della sentenza.

La legge 740/1970 detta norme volte a disciplinare l'ordinamento del personale sanitario addetto agli istituti di prevenzione e pena non appartenenti ai ruoli organici dell'Amministrazione penitenziaria e definisce medici incaricati i medici chirurghi, non appartenenti al personale civile di ruolo dell'Amministrazione degli istituti di prevenzione e di pena, i quali prestano la loro opera presso gli istituti o servizi dell'amministrazione stessa.

La legge prevede che ai medici incaricati non sono applicabili le norme relative alla incompatibilità ed al cumulo di impieghi e che a tutti i medici che svolgono, a qualsiasi titolo, attività nell'ambito degli istituti penitenziari non sono applicabili altresì le incompatibilità e le limitazioni previste dai contratti e dalle convenzioni con il Servizio Sanitario nazionale.

Le prestazioni rese dai medici incaricati presso gli istituti di prevenzione e pena, non integrano un rapporto di pubblico impiego, bensì una prestazione d'opera professionale caratterizzata dagli elementi tipici della parasubordinazione. La disciplina speciale trova la sua ratio nella peculiare natura del rapporto al quale la disposizione si riferisce, perché rimarca la non assimilabilità dello stesso all'impiego pubblico, e, quindi, esclude l'applicazione del regime delle incompatibilità.

In considerazione della particolare penosità del servizio prestato dai sanitari addetti agli istituti penitenziari, il legislatore, poi, ha ritenuto di non dovere estendere ai medici che svolgono a qualsiasi titolo detta attività le incompatibilità e le limitazioni previste dai contratti e dalle convenzioni con il Servizio sanitario nazionale, rimarcando la specialità del rapporto anche rispetto a quelli, egualmente parasubordinati, instaurati con i medici convenzionati.

La disposizione è, quindi, volta a disciplinare il rapporto fra il sanitario e l'amministrazione penitenziaria ed esclude l'obbligo di esclusività, anche al fine di estendere la platea dei possibili aspiranti all'incarico, in considerazione della peculiare natura dello stesso.

La norma, però, non incide sulla disciplina di rapporti diversi da quello al quale si riferisce e, pertanto, non conferisce al medico incaricato il diritto a cumulare l'incarico con qualsiasi altra attività, prescindendo dai requisiti che per quest'ultima il legislatore richiede. Il distinto eventuale ulteriore rapporto con alto ente pubblico resta soggetto alle regole sue proprie, sicché, ove lo stesso sia caratterizzato dall'esclusività, l'obbligo resta immutato, e non rileva che l'incarico ulteriore che si pretende di svolgere sia riconducibile alle previsioni della legge 740/1970.

Il medico legato ad una pubblica amministrazione da rapporto di impiego a tempo indeterminato è tenuto al rispetto dell’articolo 53 del d.lgs. 165/2001 che richiama il regime delle incompatibilità ed il divieto di cumulo, sicchè non può sottrarsi alle conseguenze derivanti dalla violazione del divieto.

Il D.Lgs. 165/2001 pur tipizzando una serie di illeciti da ricondurre al licenziamento disciplinare, richiama la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo e attraverso detto richiamo consente di infliggere la sanzione espulsiva a fronte di condotte non sussumibili nelle fattispecie tipizzate dalla legge o dalla contrattazione collettiva, ma comunque idonee a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario e, quindi, a giustificare il recesso immediato o con preavviso.

Non vi è dubbio che la reiterata violazione dell'obbligo di esclusività del rapporto possa giustificare il recesso, giacché tale obbligo ha particolare rilievo.

La Corte di Cassazione ha, quindi, rigettato il ricorso del medico condannandolo a pagare oltre 4500 euro di spese legali.

16 gennaio 2019

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