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Pubblico impiego: il patteggiamento può giustificare il licenziamento.

Corte di Cassazione, sentenza 20721 del 2019.

La Corte d'Appello di L'Aquila rigettava il gravame proposto da un dipendente, già istruttore del settore lavori pubblici preso un Comune, avverso la sentenza del Tribunale di Pescara che aveva respinto l'impugnativa del licenziamento disciplinare intimato a seguito della sentenza penale di patteggiamento per i reati di turbativa d'asta e corruzione pronunciata dal Tribunale, in sede penale.

La Corte di Appello riteneva che la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti avesse efficacia di giudicato, nei giudizi disciplinari davanti alla pubblica autorità, quanto all'accertamento del fatto, alla sua illiceità penale ed alla affermazione che l'imputato lo ha commesso.

La Corte di Appello considerava anche che il ccnl di settore, secondo cui era causa di licenziamento la condanna passata in giudicato per gravi delitti commessi in servizio, andasse inteso nel senso che per sentenza di condanna, per comune sentire, dovessero intendersi anche le sentenze di patteggiamento.

Il lavoratore promuoveva ricorso per cassazione.

L’interessato, oltre a contestare la tesi in ordine all’efficacia di giudicato della sentenza di patteggiamento, sottolineava come l'affermazione di un rilievo indiziario della pronuncia, con sollevamento dell’onere della prova a carico della Pubblica Amministrazione, si ponesse in frontale contrasto con la disciplina della confessione, per l'impossibilità di ravvisare, nel consenso all'applicazione della pena su richiesta delle parti, una volontà di confessione.

Il lavoratore criticava anche l'affermazione in ordine al fatto che la sentenza di patteggiamento fosse per comune sentire da associare ad una sentenza di condanna e che dunque in tal senso dovesse ad essa estendersi la norma del ccnl che prevedeva, appunto, a fronte di una sentenza di condanna, il licenziamento: dovendosi viceversa procedere ad un'interpretazione della norma nel contesto contrattuale e della volontà quale obiettivata nel testo collettivo.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso.

L'assetto normativo è del tutto chiaro nello stabilire che, rispetto ai giudizi disciplinari presso le pubbliche autorità, la sentenza penale di condanna abbia efficacia di giudicato quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso (articolo 653 comma 1 bis codice di procedura penale).

Il riferimento generico della norma ad una sentenza di condanna ed il fatto che l'articolo 445 del codice di procedura penale, stabilisca che salve diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna, rende testualmente ineludibile il riconoscimento del predetto effetto di giudicato.

A fronte di tale chiaro orientamento normativo non si possono trasporre, sul piano disciplinare, distinguo e varianti fondate sulle caratteristiche intrinseche della sentenza di patteggiamento.

Nell'interpretare il riferimento della contrattazione alla sentenza di condanna penale, si può ritenere che le parti collettive si fossero ispirate al comune sentire che a questa associa la sentenza di patteggiamento.

Stante il disposto attuale dell'articolo 445 del codice di procedura penale, secondo cui salve diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna, qualora la contrattazione collettiva rinvii alla sentenza di condanna penale, deve presumersi che essa comprenda in tale dizione anche l'ipotesi dell'applicazione della pena su richiesta delle parti, non potendosi ipotizzare che la contrattazione collettiva utilizzi la terminologia giuridica secondo significati diversi da quelli che secondo legge le sono propri.

16 gennaio 2020

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