Pubblico impiego: ferie non godute monetizzabili in casi eccezionali.
Corte di Cassazione, senteza 20091 del 2018.
La Corte d'appello di Bologna respingeva le domande proposte dal dipendente di un’AUSL dirette ad ottenere l'indennità sostitutiva delle ferie non godute pari a 246,50 giorni. L’interessato aveva intrattenuto un rapporto d'impiego con qualifica dirigenziale dal 1993 al 2003.
La Corte d’appello riteneva incontestata l'interpretazione dell'articolo 21 del ccnl del 1996 per il personale dell'area della dirigenza sanitaria, là dove lo stesso ha previsto che alla cessazione del rapporto d'impiego le ferie residue possano essere monetizzate solo quando il mancato godimento sia determinato da effettive e indifferibili esigenze di servizio, formalmente comprovate, o, comunque, a causa di ragioni indipendenti dalla volontà del dirigente. La Corte d’appello riteneva che l’interessato, a ciò onerato, non avesse nè allegato, nè provato le circostanze ostative ai godimento delle ferie, in quanto costitutive del diritto a percepire l'indennità sostitutiva.
Della controversia veniva investita la Cassazione su ricorso del dirigente.
La Suprema Corte ha ricordato che l'orientamento consolidato va nel senso che, nel rapporto di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, il mero fatto del mancato godimento delle ferie non dà titolo ad un corrispondente ristoro economico se l'interessato non prova che esso è stato cagionato da eccezionali e motivate esigenze di servizio o da cause di forza maggiore.
Nel caso in esame, la Corte d’appello ha ritenuto chiaramente disatteso l'onere di allegazione specifico dell'impossibilità di fruire delle ferie per causa non imputabile, tenuto conto della ragguardevole entità del numero di giornate di ferie non godute (246,50 giorni in dieci anni) e del fatto che al dirigente sanitario apicale non potesse imputarsi un dovere d'ufficio di collocazione in ferie del dirigente responsabile di unità operativa. La Corte di Cassazione ha rilevato, inoltre, che un'impossibilità della relativa fruizione delle ferie non potesse essere presunta sulla base di altre circostanze, necessitando, appunto, di una prova completa.
La Suprema Corte ha, quindi, rigettato il ricorso ed ha condannato il lavoratore al pagamento di oltre 4000 euro di compensi professionali.
8 ottobre 2018