Articolo

Pubblico impiego: assegnazione del buono pasto condizionata all'effettuazione della pausa pranzo.

Corte di Cassazione, sentenza 31137 del 2029.

La Corte di Appello di Milano confermava l’accoglimento del ricorso proposto da alcuni lavoratori volti ad ottenere il riconoscimento dell'incidenza dei permessi di allattamento, dei periodi di astensione obbligatoria per maternità e dei congedi parentali ai fini dell'attribuzione anche del diritto ai buoni pasto. La Corte di Appello di Milano statuiva l'equiparazione delle ore di permesso per allattamento alle ore di effettiva presenza in ufficio. Ciò anche per l'erogazione dei buoni pasto, indipendentemente dal rientro in azienda e anche in assenza di pausa.

L’Agenzia delle Dogane proponeva ricorso per cassazione contestando l’equiparazione delle ore di permesso per allattamento all'effettiva presenza in ufficio ai fini dell'attribuzione dei buoni pasto e a prescindere dalla pausa per consumazione del pasto.

Il valore dei pasti o il cosiddetto buono pasto, salva diversa disposizione, non è un elemento della retribuzione normale concretandosi lo stesso in una agevolazione di carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale.

Il buono pasto è un beneficio che non viene attribuito senza scopo, in quanto la sua corresponsione è finalizzata a far sì che, nell'ambito dell'organizzazione del lavoro, si possano conciliare le esigenze del servizio con le esigenze quotidiane del lavoratore, al quale viene così consentita, laddove non sia previsto un servizio mensa, la fruizione del pasto, i cui costi vengono assunti dall'Amministrazione, al fine di garantire allo stesso il benessere fisico necessario per la prosecuzione dell'attività lavorativa, nelle ipotesi in cui l'orario giornaliero corrisponda a quello contrattualmente stabilito per la fruizione del beneficio.

Si tratta, quindi, di un istituto che trova riscontro nella disciplina UE dell'organizzazione dell'orario di lavoro che è sempre stata collegata alla promozione del miglioramento dell'ambiente di lavoro.

Il buono pasto non è configurabile come un corrispettivo obbligatorio della prestazione lavorativa, in quanto la sua corresponsione, quale agevolazione di carattere assistenziale, piuttosto che porsi in collegamento causale con il lavoro prestato dipende dalla sussistenza di un nesso meramente occasionale con il rapporto di lavoro, secondo la relativa configurazione della contrattazione collettiva cioè con riguardo all'orario di lavoro (settimanale e giornaliero) .

L'effettuazione della pausa pranzo è condizione per l'attribuzione del buono pasto e tale effettuazione, a sua volta, come regola generale, presuppone che il lavoratore osservi in concreto un orario di lavoro giornaliero di almeno sei ore, sicchè la suddetta attribuzione compete solo per le giornate in cui si verifichino le suindicate condizioni.

Come risulta dall'Accordo sindacale Comparto Ministeri del 30 aprile 1996, la concessione dei buoni pasto era finalizzata a favorire l'estensione dell'orario di lavoro nelle Amministrazioni, per incrementarne l'efficienza, la fruibilità dei servizi, i rapporti interni ed esterni.

Si tratta di un beneficio legato non alla prestazione di lavoro in quanto tale, ma alle modalità concrete del suo svolgimento orario e quindi alla relativa organizzazione, essendo diretto a consentire il recupero delle energie psico-fisiche, con una pausa a ciò finalizzata e da utilizzare per l'eventuale consumazione del pasto, laddove non sia organizzato un servizio mensa, dei lavoratori destinatari di un'estensione dell'orario di lavoro, estensione diretta a incrementare la qualità e la quantità dei servizi offerti dalle pubbliche Amministrazioni.

L'equiparazione dei riposi giornalieri della madre, di cui all’articolo 39 del D.Lgs. 151/2001, alle ore di lavoro non può valere per l'attribuzione dei buoni pasto.

Il confronto vale, secondo l’articolo 39, agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro, non per le modalità concrete con le quali viene svolta la prestazione lavorativa giornaliera, dal punto di vista dell'orario effettivamente osservato dal dipendente.

L’articolo 39 è diretto a favorire la conciliazione tra la vita professionale e quella familiare, stabilendo nei confronti della lavoratrice madre o del padre il diritto ad una o due ore di riposo giornaliero (a seconda della durata della giornata lavorativa) per accudire i figli, entro il primo anno di età, senza specificare la collocazione temporale dei riposi, ma limitandosi a stabilire che, qualora essi siano due, possano anche essere cumulati.

La disposizione stessa stabilisce poi la suindicata equiparazione, ma solo con riguardo alla retribuzione e alla durata del lavoro.

E' fuori dall'ambito applicativo dell'articolo 39 l'attribuzione dei buoni pasto, la quale non riguarda nè la durata nè la retribuzione del lavoro e che certamente non può dirsi finalizzata a favorire la conciliazione tra la vita professionale e quella familiare dei dipendenti.

La concessione dei buoni pasto nasce dalle scelte organizzative dell'Amministrazione di appartenenza in materia di orario di lavoro dei dipendenti dirette a conciliare l'estensione dell'orario di lavoro con l'esigenza di offrire, nello stesso tempo, ai lavoratori che effettuano un orario prolungato la possibilità recuperare le loro energie psicofisiche con una pausa da utilizzare per l'eventuale consumazione di un pasto.

Non vi è un'incompatibilità assoluta tra la spettanza dei buoni pasto e la fruizione dei permessi per l'allattamento, ma tale spettanza dipende dalla ricorrenza in concreto dei relativi presupposti, a partire dall'osservanza di un orario effettivo praticato dall'interessata/o superiore a quello previsto per fruire della pausa.

Non essendo i buoni pasto, un elemento della retribuzione normale, per la relativa attribuzione si deve fare riferimento all'orario in concreto osservato nelle singole giornate lavorative e non all'orario giornaliero contrattuale normale, quello, cioè, in astratto previsto, al contrario di quanto accade ai fini del diritto ai riposi giornalieri di cui all’articolo 39 del decreto legislativo 151/2001.

Nel caso affrontato, gli interessati per le giornate lavorative per le quali rivendicano i buoni pasto hanno osservato, in concreto, un orario pari a 5 ore e 12 minuti, fruendo dei riposi giornalieri ai sensi dell’articolo 39. Pertanto sono stati effettivamente presenti nell'Azienda per un numero di ore inferiore alle sei giornaliere previste anche dal CCNL, conseguentemente non hanno maturato il diritto alla pausa ai sensi del decreto legislativo 66/2003 e dell’articolo del CCNL e quindi è da escludere il loro diritto all'attribuzione dei buoni pasto.

24 marzo 2020

Condividi questo articolo: