Prosecuzione del rapporto di lavoro oltre l'età pensionabile.
Corte di Cassazione SS.UU., sentenza 17589 del 2015.
Un lavoratore che aveva raggiunto i requisti per la pensione di vecchiaia veniva licenziato per il raggiungimento del 65° anno di età. Il dipendente impugnava il licenziamento ritenendolo illegittimo perché aveva optato per la permanenza in servizio sino al 70° anno di età come previsto dal D.L. 201/2011.
Il Tribunale dichiarava illegittimo il licenziamento ed ordinava la reintegra del lavoratore, ritentando sussistere in capo al lavoratore un diritto potestativo alla prosecuzione del rapporto di lavoro oltre l'età pensionabile. Il provvedimento veniva confermato nelle successive fasi del procedimento giudiziario.
Della questione veniva, pertanto, investita la Corte di Cassazione. Il D.L. 201/2011 prevede che per i lavoratori la cui pensione è liquidata a carico dell’Assicurazione Generale Obbligatoria e delle forme esclusive e sostitutive della medesima, nonché della gestione separata, la pensione di vecchiaia si può conseguire all’età in cui operano i requisiti minimi previsti. Il proseguimento dell’attività lavorativa è incentivato, fermi restando i limiti ordinamentali dei rispettivi settori di appartenenza, dall’operare dei coefficienti di trasformazione calcolati fino all’etàdi settant’anni, fatti salvi gli adeguamenti alla speranza di vita.
Secondo la Suprema Corte, la disposizione nel prevedere che il proseguimento dell’attività lavorativa è incentivato dall’operare dei coefficienti di trasformazione calcolati fino all’età di settant’anni non attribuisce al lavoratore un diritto di opzione per la prosecuzione del rapporto di lavoro, né consente allo stesso di scegliere tra la quiescenza o la continuazione del rapporto, ma prevede solo la possibilità che, grazie all’operare di coefficienti di trasformazione calcolati fino all’età di settanta anni, si creino le condizioni per consentire ai lavoratori interessati la prosecuzione del rapporto di lavoro oltre i limiti previsti dalla normativa di settore.
La Suprema Corte ha confutato, quindi, le conclusioni che erano giunti i giudici nei procedenti gradi di giudizio, negando che sussista in capo al lavoratore un diritto alla continuazione del rapporto di lavoro che egli possa azionare unilateralmente