Nullo il licenziamento ritorsivo che colpisce il lavoratore. Vittoria in Tribunale per lo Studio Legale Carozza.
Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sentenza 2203 del 2022.
Un lavoratore aveva citato in giudizio la società datrice di lavoro per le differenze retributive che riteneva maturate con la precedente datrice di lavoro invocando la responsabilità solidale prevista in caso trasferimento di azienda dall’articolo 2112 del Codice civile.
La datrice di lavoro irrogava, però, il licenziamento per giusta causa per essere stata chiamata in causa per somme spettanti in relazione all'intercorso rapporto di lavoro con la cedente dell’azienda, ritendendosi totalmente estranea ai fatti contestati.
Il lavoratore impugnava, dunque, il licenziamento e deduceva la nullità dell’atto per essere il motivo di recesso unico e determinante e comminato per rappresaglia e, dunque, determinato da motivo illecito. All’esito della fase sommaria del giudizio promosso secondo la legge 92/2012, il Tribunale accoglieva la domanda del lavoratore, dichiarando la nullità del licenziamento, il diritto alla reintegra ed al pagamento di una indennità risarcitoria pari all’ultima retribuzione dal licenziamento sino alla reintegrazione.
La società datrice di lavoro insorgeva con opposizione.
Il Tribunale, invece, ha confermato che la ritorsione appare evidente nella motivazione posta alla base del licenziamento, atteso che il datore ha voluto sanzionare con il recesso un’azione del lavoratore pienamente legittima in quanto rientrante nei diritti dello stesso. Il lavoratore avrebbe aveva il diritto di provare ed ottenere in via solidale il pagamento di spettanze retributive, indipendentemente dall’esito dell’istanza. È lampante il motivo arbitrario, unico e determinante, posto alla base del licenziamento che non si sostanzia in una grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro; ragionando a contrario sarebbe sorretto da giusta causa e non ritorsivo ogni licenziamento che trovi fondamento in un’azione giudiziaria proposta dal lavoratore contro il datore, a prescindere dalla fondatezza o meno della stessa.
Il licenziamento ritorsivo costituisce l’ingiusta ed arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore colpito (diretto) o di altra persona ad esso legata e, pertanto, accomunata nella reazione (indiretto), che attribuisce al licenziamento il connotato della vendetta ingiustificata. Tale tipo di licenziamento è riconducibile, data l’analogia di struttura, alla fattispecie del licenziamento discriminatorio, cui sono connesse le conseguenze ripristinatorie e risarcitorie di cui all’articolo 18 della legge 300/1970. Il licenziamento per ritorsione, diretta o indiretta che sia, in particolare, è un licenziamento nullo, quando il motivo ritorsivo, come tale illecito, sia stato l'unico determinante dello stesso. Il divieto di licenziamento discriminatorio è suscettibile di interpretazione estensiva sicché l'area dei singoli motivi vietati comprende anche il licenziamento per ritorsione o rappresaglia, che costituisce cioè l'ingiusta e arbitraria reazione, quale unica ragione del provvedimento espulsivo, essenzialmente quindi di natura vendicativa.
Nel caso affrontato, il licenziamento del lavoratore appare ritorsivo dagli atti in quanto motivato da ingiusta ed arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore che ha adito l’Autorità Giudiziaria al fine di ottenere, invocando una norma dell’ordinamento giuridico che prevede la solidarietà tra imprese in caso di cessione d’azienda, il pagamento di spettanze retributive pretese. Peraltro, l’arbitrarietà delle ragioni che hanno condotto al licenziamento discende dal fatto che l’unico motivo indicato dal datore di lavoro è rappresentato proprio dalla proposizione del ricorso giudiziario lesivo a suo dire del vincolo fiduciario. L’unico motivo di licenziamento è rappresentato dalla presentazione del ricorso giudiziale, ciò che rende rilevante il motivo illecito.
Il Tribunale ha, pertanto confermato la statuizione di nullità del licenziamento con applicazione della tutela prevista dall’articolo 18 commi 1 e 2 della legge 300/1970.
3 novembre 2022