Nel conferire incarichi di posizione organizzativa, la PA può legittimamente inserire dei criteri d'accesso conformi alla contrattazione collettiva
Corte di Cassazione, sentenza 19223 del 2014.
Un dipendente del Comune di Civitanova Marche, caposervizio addetto alla manutenzione stradale con inquadramento nella categoria D2, chiedeva al Tribunale di Macerata il riconoscimento del diritto alla collocazione dell'Area posizioni organizzative contestando i criteri selettivi, contenuti in una precedente delibera, che avevano portato all'attribuzione di tre incarichi a tre soggetti che avevano la posizione D3.
Il Tribunale di Macerata nel 2007 e Corte di appello di Ancona nel 2011 rigettavano la domanda.
La Corte di Cassazione ha ripetuto che anche dopo la privatizzazione del pubblico impiego, l'Amministrazione è tenuta a perseguire obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità. Il bando di selezione è un atto di gestione privatistico censurabile sotto il profilo della correttezza e buona fede.
La Suprema Corte ha ritenuto corretta la disciplina del bando del Comune per l'assegnazione delle posizioni organizzative sia ove ne prevede l'accesso ai soli dipendenti inquadrati in D3, sia ove richiede il possesso del diploma di laurea. La Corte di Cassazione ha rilevato l'assenza di qualsiasi contrasto con norme imperative.
La norma del ccnl applicabile prevede, infatti, nella specificazione dei criteri generali di accesso alla Area delle posizioni organizzative espressamente il criterio dei requisiti culturali posseduti, mentre non fa alcun riferimento alle mansioni di fatto svolte. Pertanto, alla luce di quanto previsto dalla contrattazione collettiva, i tre dipendenti si trovavano in posizione migliore rispetto a quella del lavoratore ricorrente, sia perché inquadrati in D3 sia perché in possesso del diploma di laurea.
Secondo la Corte di Cassazione, il bando di selezione non aveva carattere discriminatorio perché rispondeva ai criteri indicati nel ccnl applicabile. L'Amministrazione non aveva operato alcuna differenziazione irragionevole e aveva, anzi, seguito quanto indicato della contrattazione collettiva. L'Amministrazione aveva esplicitamente accertato che la professionalità dei tre funzionari ammessi all'Area di Posizione Organizzativa era superiore a quella avanzata dal lavoratore.
La Corte di Cassazione ha sottolineato anche che il lavoratore non aveva neanche documentato di rivestire una posizione più meritevole rispetto a quello dei tre colleghi inquadrati in D3.
La Suprema Corte ha, dunque, rigettato il ricorso condannando il lavoratore al pagamento delle spese del giudizio per oltre 4000 euro.
20/10/2014