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Mobbing e risarcimento danni.

Corte di Cassazione, sentenza 38123 del 2021.

La Cassazione ha rigettato il ricorso di un Comune avverso la sentenza che aveva accolto l’appello di una dipendente, condannando l’Ente al pagamento del risarcimento del danno non patrimoniale derivante da condotte mobbizzanti.

La lavoratrice aveva convenuto in giudizio il Comune per l’accertamento del mobbing consistito in plurimi atti di emarginazione, isolamento e demansionamento e nell’illegittimo mancato riconoscimento della posizione organizzativa rivestita, chiedendo altresì il risarcimento di tutti i danni subiti. La Corte di Appello aveva sottolineato che era fondata la domanda inerente alla determinazione del danno biologico, tenuto conto della durata della condotta datoriale, del precedente stato di salute della lavoratrice e delle conclusioni medico legali.

La Cassazione ha evidenziato che ai fini della configurabilità del mobbing, devono ricorrere una serie di comportamenti di carattere persecutorio posti in essere contro la vittima in modo sistematico e prolungato nel tempo, un evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente, il nesso eziologico tra le condotte ed il pregiudizio subito dalla vittima e l’elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi.

La Corte di Appello aveva già evidenziato le tappe della progressiva marginalizzazione della lavoratrice quali emerse dall’istruttoria: spostamento in una stanza al piano terreno destinata alle relazioni con il pubblico (front office), con carenze logistiche e compiti estranei alle responsabilità proprie delle sue mansioni; mancata conferma nella posizione organizzativa dell’area amministrativa; mancato smistamento della corrispondenza; sottoposizione ad un’azione disciplinare poi conclusasi con archiviazione. Per la Corte di Appello, quindi, risultava provato l’illecito in danno del dipendente, considerando ciascuna delle condotte come parti di un disegno persecutorio piuttosto evidente.

La Suprema Corte ha anche avallato la decisione della Corte di Appello in ordine ai criteri seguiti per determinare l’entità del danno: periodo del demansionamento, effettiva privazione della professionalità, atteggiamento tenuto dalla lavoratrice e condotta datoriale. Nella liquidazione del danno non patrimoniale, in difetto di diverse previsioni normative, devono trovare applicazione i parametri tabellari elaborati presso il Tribunale di Milano, in quanto individuano il valore finale del punto utile al calcolo del danno biologico da invalidità permanente tenendo conto di tutte le componenti non patrimoniali, compresa quella qualificata in termini di danno morale.

12 gennaio 2022

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