Mobbing e rilevanza dell’intento persecutorio.
Corte di Cassazione, sentenza 10285 del 2018.
La Corte di appello di Venezia ha confermato la sentenza del Tribunale, con cui era stata accolta la domanda proposta da un dipendente comunale, vicecomandante dei vigili urbani (categoria D3), nominato Responsabile del Servizio di Polizia Amministrativa, il quale aveva dedotto di avere subito una serie di atti e comportamenti integranti la fattispecie del mobbing e aveva agito per il risarcimento dei danni. La Corte di appello ha confermato la condanna del Comune al risarcimento dei danni biologico e morale in conseguenza dell'accertata condotta vessatoria.
Il Tribunale aveva ritenuto che il lavoratore fosse stato lasciato privo di uomini al suo comando e di mezzi adeguati per espletare i suoi compiti nel periodo di tempo dedotto e che fosse stato reiteratamente svilito, con singoli episodi, il ruolo a lui assegnato di Responsabile del Servizio di Polizia Amministrativa. La Corte territoriale ha argomentato che: a) quanto alla carenza di personale, il servizio di polizia amministrativa cui era stato preposto l’interessato aveva competenze importanti in materia di edilizia ed ecologia; era comprovato che rispetto alla pianta organica all'ufficio fu assegnato un solo impiegato e per un breve periodo un altro incaricato, rapidamente sostituito con la moglie del lavoratore, con assegnazione solo figurativa; la difesa del Comune basata sulla cronica carenza di personale non giustificava la circostanza di una scopertura di misura oscillante pari a circa il 70%, non ravvisabile in nessuno dei settori dell'ente appellante; b) quanto alla carenza di mezzi, pur tenuto conto della situazione economica deficitaria degli enti pubblici, il servizio era stato relegato in uno stato di inaccettabile abbandono e sostanziale isolamento istituzionale, mortificando il ricorrente che ad esso era preposto: il servizio era confinato in stanzetta piccola e inadeguata al numero dei fascicoli; l'unità era priva di attrezzature minime essenziali, come l'apparecchio fotografico per rilevare gli abusi urbanistici e il cellulare di servizio per comunicare dai luoghi ove veniva svolta l'ispezione; il lavoratore operava in totale assenza di sicurezza e riservatezza dei locali; il servizio era rimasto privo per circa due anni persino di una linea telefonica esterna, situazione eccessiva anche in un contesto di ristrettezza delle risorse; c) in merito allo svilimento del ruolo del comandante (privazione di poteri gerarchici e gestori, mancata consultazione nella riorganizzazione degli uffici, mancata inclusione nei piani di lavoro e relativa mancata erogazione del salario accessorio, distrazione della posta), le risultanze istruttorie avevano confermato che i sottoposti dell’interessato ottennero ferie e permessi e ricevettero ordini senza nemmeno una sua previa consultazione; il lavoratore non fu consultato in occasione della riforma per la riorganizzazione del Corpo di Polizia Municipale e fu escluso dai piani di lavoro del Comando che individuavano gli obiettivi da dare a ciascun ufficio; ingiustificate erano le disposizioni in base alle quali la posta indirizzata al servizio doveva essere previamente inoltrata al Comando, con la conseguenza che la posta stessa perveniva all'effettiva destinazione dopo 15-20 giorni dal suo arrivo e ciò aveva causato ritardi e disguidi con notevole pregiudizio all'attività amministrativa; d) circa il nesso di causalità fra comportamento dell'Amministrazione ed eventi lamentati, la CTU espletata aveva riconosciuto la riconducibilità della patologia psichica alle vicende lavorative, che configuravano antecedente causalmente idoneo, quale vissuto altamente stressante, nell'insorgenza della psicopatologia sofferta dal lavoratore.
Per la cassazione di tale sentenza il Comune ha proposto ricorso.
La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso indondato.
Ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo devono ricorrere: a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio - illeciti o anche leciti se considerati singolarmente che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi; b) l'evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente; c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità; d) l'elemento soggettivo, cioè l'intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi.
L’analisi dettagliata dei singoli fatti non contraddice, ma avvalora il complessivo giudizio di riconducibilità degli episodi alla fattispecie del mobbing, ove si consideri che l'elemento soggettivo, ossia l'intento vessatorio, è stato ricostruito alla stregua di una lettura complessiva dei fatti: l’ostilità dell'Amministrazione nei confronti del lavoratore è desumibile dalla sua mancata consultazione in occasione della formale riorganizzazione del Corpo di Polizia Municipale; della pretestuosità dell'esclusione del dipendente dai piani di lavoro del Comando che individuavano gli obiettivi dati a ciascun ufficio, comportando (in caso di raggiungimento) benefici economici; della ingiustificatezza delle disposizioni relative al recapito della posta indirizzata al Servizio di Polizia Amministrativa e che invece doveva essere previamente inoltrata al Comando.
Il carattere ostile, pretestuoso o ingiustificato di singoli comportamenti costituisce accertamento dell'intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi: la privazione dei poteri gerarchici e gestori, la mancata consultazione nella riorganizzazione degli uffici, la mancata inclusione nei piani di lavoro e relativa mancata erogazione del salario accessorio, la distrazione della posta costituiscono elementi, non solo specificamente esaminati nella loro portata oggettiva, unitamente a quelli pure evidenziati relativi alla carenza di mezzi e di personale, come singolarmente lesivi della dignità del lavoratore nel suo ruolo di preposto al servizio, ma anche valutati secondo un apprezzamento unitario, in quanto accomunati da un comune filo conduttore sotteso ai singoli comportamenti e che li unifica.
14 luglio 2018