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Mansioni alternative invece delle pause per i videoterminalisti

Corte di Cassazione, sentenza 2679 del 2015

Un lavoratore di Telecom Italia chiedeva il  risarcimento danni per la mancata fruizione delle pause al videoterminale.
Il Tribunale di Benevento inizialmente accoglieva il ricorso giudiziario.
La Corte d'Appello di Napoli, invece, riformava la sentenza e rigettava la domanda. La Corte rilevava che, in base alle risultanze della prova testimoniale, era emerso che, nel periodo in esame, il lavoratore svolgeva anche altre autonome mansioni che non comportavano l'uso continuativo dei videoterminali, con conseguente cambiamento di attività.
La Corte di Cassazione, investita della controversia, ha precisato che va applicato nel caso affrontato il d.lgs. 626/1994, anteriore al d.lgs. 81/2008. Le disposizioni normative garantivano in caso di attività per almeno quattro ore consecutive il diritto ad una interruzione mediante pausa o cambiamento di attività, secondo le modalità stabilite dalla contrattazione collettiva anche aziendale, in mancanza della quale era comunque stabilito il diritto ad una pausa di quindici minuti ogni centoventi minuti di applicazione continuativa al videoterminale.
Anche il d.lgs. 81/08 in vigore, in realtà, dispone che il lavoratore impegnato in attività che comportano l'uso di attrezzature munite di videoterminali ha diritto a una interruzione della sua attività: mediante pause o cambiamento di attività.
La Corte di Cassazione ha ritenuto sulla scorta delle dichiarazioni dei testimoni, era stato correttamente accertato che nel caso affrontato non sussisteva la continuità della applicazione al videoterminale e che, peraltro, lo svolgimento, seppur in misura minore, dell'attività amministrativa nella stessa giornata comportava un cambiamento di attività, idoneo ad integrare la prevista interruzione.
Tale accertamento è stato ritenuto dalla Corte di Cassazione conforme al diritto, non essendo del resto rilevante il carattere prevalente nella giornata della adibizione al videoterminale, bensì soltanto la continuità della stessa.
La Corte di Cassazione ha, quindi, rigettato il ricorso del lavoratore condannandolo al pagamento di oltre 3000 euro di spese legali.

 

13/04/2015

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