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Licenziamento per scarso rendimento: necessaria la prova della negligenza.

Corte di Cassazione, sentenza 26676 del 2017.

La Corte di Appello di Roma rigettava il gravame interposto da una società con la quale il locale giudice del lavoro aveva in gran parte accolto le domande di un lavoratore avverso il licenziamento intimatogli per scarso rendimento.

Secondo la Corte di Appello non sussistevano gli estremi della negligenza inadempiente, tale da poter giustificare il licenziamento per scarso rendimento del dipendente che era stato adibito come responsabile alla vendita di flotte aziendali di autovetture, fermo restando anche il compito di venditore generico.

Avverso l'anzidetta pronuncia la società proponeva ricorso per cassazione.

Secondo la Suprema Corte nel precedente grado di giudizio era stato correttamente rilevato che il datore di lavoro non aveva dimostrato che il mancato raggiungimento dell'auspicato risultato produttivo fosse derivato da colpevole e negligente inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore nell'espletamento della sua normale attività e che sussisteva un'enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati per il dipendente e quanto effettivamente realizzato nel periodi di riferimento, avuto riguardo al confronto dei risultati globali riferito ad una media di attività tra i vari dipendenti.

Al fine di poter considerare legittimo il licenziamento comminato per scarso rendimento, la parte datoriale è tenuta a provare rigorosamente il comportamento negligente del prestatore, in quanto elemento costitutivo del recesso per giustificato motivo soggettivo, e che l'inadeguatezza del risultato non sia ascrivibile all'organizzazione del lavoro da parte dell'imprenditore ed a fattori socio-ambientali.

Nel caso affrontato, l'implementazione ed il particolare impulso richiesto al lavoratore nel settore flotte aziendali costituiva certamente una novità in azienda. Ciò non significava che non vi fossero state in passato vendite di vetture anche a clienti appartenenti al gruppo flotte aziendali, ma il fatto che stesso che il dipendente avesse evidenziato la mancanza di statistiche di vendite, così come di procedure di contatto e strategie di vendita per quel particolare settore, senza smentite da parte aziendale, che non aveva prodotto significativi e rilevanti documenti al riguardo, dimostrava la totale novità della strategia commerciale all'epoca decisa dalla società.

Ulteriori circostanze di fatto escludevano che si potesse tener conto degli standard invocati dall'azienda e segnatamente di 12/15 macchine vendute per mese da ogni venditore, sulla base di 60/80 trattative incardinate, laddove per il lavoratore interessato la condizione era nettamente diversa alla stregua delle precisate concrete emergenze rilevate, evidenziando ancora che non era condivisibile, perché non corretta, l'operazione effettuata dall'azienda, di comparare dati tra loro non omogenei. Pertanto, era difficile sostenere che vi fosse prova di una negligenza e di una inattività da parte del dipendente. Per giunta, da tutta la corrispondenza intercorsa con la dirigenza, emergeva che l’interessato non era mai stato inattivo, dedicandosi in maniera prevalente ad un compito che, così come voluto da parte datoriale, non era stato mai praticato prima.

Il licenziamento intimato al lavoratore per scarso rendimento è legittimo soltanto qualora sia risultato provato, sulla scorta della valutazione complessiva dell'attività resa dal lavoratore stesso ed in base agli elementi dimostrati dal datore di lavoro, una evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente, ed a lui imputabile, in conseguenza dell'enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavoratore e quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento, avuto riguardo al confronto dei risultanti dati globali riferito ad una media di attività tra i vari dipendenti ed indipendentemente dal conseguimento di una soglia minima di produzione.

Qualora in taluni rapporti di lavoro subordinato assuma rilievo anche il risultato della prestazione, come il conseguimento di un determinato livello quantitativo minimo di affari, vendite eccetera, entro prefissati periodi di tempo, con la correlativa previsione da parte del contratto collettivo o individuale, del mancato risultato periodicamente richiesto quali ipotesi di grave inadempimento che legittima la risoluzione motivata del rapporto per scarso rendimento, il datore di lavoro, che intenda far valere tale scarso rendimento come notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro, non può limitarsi a provare solo il mancato raggiungimento del risultato atteso o l'oggettiva sua esigibilità, avuto riguardo alla normale capacita ed operosità della maggioranza dei lavoratori di pari qualificazione professionale ed addetti alle medesime mansioni, ma deve altresì provare che la causa dello scarso rendimento deriva da negligenza nell'espletamento della prestazione lavorativa. Pertanto, in mancanza di prova di un difetto di attività da parte del lavoratore, il solo dato del mancato raggiungimento degli obiettivi programmati dal datore di lavoro non legittima la risoluzione del rapporto per scarso rendimento.

La Suprema Corte ha, quindi, rigettato il ricorso della società condannandola al pagamento di oltre 4000 euro di spese.

12 marzo 2018

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