Licenziamento per messaggi minacciosi e diffamatori contro la datrice di lavoro.
Corte di Cassazione, sentenza 11344 del 2023.
La Corte di Appello respingeva l’appello di un lavoratore, confermando la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda di illegittimità del licenziamento per giusta causa.
Al lavoratore era stato contestato di avere inviato su un gruppo di messaggistica Whatsapp composto dai dipendenti della società messaggi minacciosi, farneticanti e diffamatori nei confronti della datrice di lavoro; di essersi presentato in azienda alle ore 22.00, in stato di alterazione, di essere entrato nei reparti produttivi in abiti civili, senza indossare i dispositivi di protezione e il vestiario necessario per la sicurezza e l'igiene alimentare, e di aver creato agitazione tra i colleghi con un atteggiamento minaccioso, aggressivo e provocatorio; di essersi rifiutato di lasciare i locali aziendali tanto da rendere necessario l'intervento dei carabinieri; di avere continuato per tutta la notte a inviare messaggi di contenuto minaccioso ed ingiurioso al legale rappresentante della società, rappresentando sabotaggi e danneggiamenti all'azienda; di avere anche nei giorni precedenti rivolto minacce e ingiurie ai colleghi di lavoro e tenuto condotte di insubordinazione verso i superiori gerarchici.
La Corte di Appello ha ritenuto che la contestazione disciplinare avesse i necessari requisiti di specificità e che le prove raccolte dimostrassero la sussistenza degli addebiti, idonei ad integrare la giusta causa di recesso.
Avverso tale sentenza il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione.
La Suprema Corte ha respinto il ricorso. Sulla integrazione del parametro della giusta causa di licenziamento, la Corte d'appello si è attenuta ai canoni giurisprudenziali attraverso cui sono state definite le nozioni legali di giusta e di proporzionalità della misura espulsiva ed ha motivatamente valutato la gravità della condotta del dipendente, sia complessiva e sia in relazione ai singoli episodi, partitamente esaminati con valutazione di infondatezza degli elementi giustificativi addotti, in particolare sottolineando il carattere intimidatorio della condotta stessa nei confronti della persona dell'amministratore della società.
3 luglio 2023