Licenziamento per il componente di commissione di appalto cui partecipa l'impresa di un parente.
Corte di Cassazione, sentenza 21978 del 2016.
Un dirigente di una società a partecipazione pubblica veniva licenziato per giusta causa perché intratteneva rapporti commerciali con una società che vedeva come direttore il proprio cognato.
La Corte di Appello respingeva la impugnativa di licenziamento del lavoratore che adiva la Corte di Cassazione.
Secondo la Suprema Corte, il comportamento del dirigente era stato certamente lesivo del vincolo fiduciario. Non vi era certo bisogno di una specifica norma regolamentare per comprendere che un dirigente apicale non poteva intrattenere relazioni con una società che vedeva come responsabile il cognato. Non vi era alcun bisogno di specificare l'obbligo di astensione in caso di partecipazioni a commissioni aggiudicatrici di appalto alle cui gare partecipavano anche aziende di parenti.
Il comportamento del lavoratore violava del codice civile secondo cui il prestatore di lavoro deve osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore ed è obbligato ad usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale. La natura della prestazione avrebbe dovuto essere oggetto di una particolare attenzione e diligenza in quel particolare settore in cui prestava servizio l'ineressato, non quale semplice operatore, ma come dirigente apicale, dotato di capacità di discernimento, al quale la società datrice di lavoro aveva affidato compiti delicati e di responsabilità.
Il licenziamento disciplinare è giustificato nei casi in cui i fatti contestati rivestano il carattere di grave violazione degli obblighi del rapporto di lavoro così da ledere irrimediabilmente l’elemento fiduciario. Le delicate mansioni attribuite all'interessato venivano esercitate in modo da arrecare pregiudizio al datore di lavoro, senza l’osservanza del prescritto obbligo di fedeltà, con grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro e con modalità tali da porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento da parte della dipendente.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del dirigente condannandolo al pagamento di oltre 4600,00 euro di spese legali.
4 gennaio 2017