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Legittimo il licenziamento per giusta causa del lavoratore di un istituto per ingiustificate interrogazioni di conti correnti.

Corte di Cassazione, sentenza 4871 del 2020.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso avverso una sentenza della Corte di Appello di Roma che aveva dichiarato legittimo il licenziamento per giusta causa intimato ad una lavoratrice di un istituto bancario che aveva effettuato interrogazioni di conti correnti non giustificate da ragioni di servizio.

La Corte di Appello aveva ritenuto che l’istituto bancario avesse osservato l’obbligo informativo previsto dall’art. 4, co. 3, St. Lav. come modificato dal d. lgs. n. 151/2015, in tema di utilizzabilità delle informazioni raccolte nell’ambito dei controlli a distanza effettuati mediante strumenti informatici sull’attività dei dipendenti. Tale norma, infatti, nella sua attuale formulazione, prevede che le informazioni raccolte nei controlli a distanza siano utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro solo se è data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli. Il giudice di merito, inoltre, ha considerato la condotta della lavoratrice grave al punto da escludere l’applicazione di una sanzione conservativa e da giustificare il licenziamento per giusta causa ex art. 2119 c.c., considerando anche che il divieto di effettuare interrogazioni di conti correnti non giustificate da ragioni di servizio è finalizzato a tutelare la riservatezza e la sicurezza della clientela.

La lavoratrice ha sostenuto che la Corte di Appello avesse ritenuto sussistente la giusta causa di licenziamento senza esaminare la questione della novità dell’incarico di referente di agenzia, assegnato alla dipendente senza che questa abbia potuto svolgere la formazione obbligatoria (secondo quanto previsto dall’art. 2103, co. 3, c.c.) per l’espletamento delle relative mansioni. Sul punto, invece, la Suprema Corte, analizzando gli accertamenti svolti nella fase di merito, dai quali è emerso che l’istituto bancario aveva specificamente adempiuto all’obbligo di informazione disposto dall’art. 4, co. 3, St. Lav. nei confronti della generalità dei propri dipendenti, ha considerato che l’esame delle questioni relative alla novità dell’incarico e alla carenza di formazione della lavoratrice non avrebbe potuto modificare la conclusione del giudicante di merito, non inserendosi nel processo informativo seguito dal datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti per renderli edotti delle modalità di controllo dell’utilizzo degli strumenti informatici.

Con altro motivo di ricorso, inoltre, la lavoratrice ha dedotto la violazione dell’art. 4 St. Lav., non ritenendo adeguata la nota prodotta in giudizio dall’istituto bancario ai fini della dimostrazione dell’adempimento dell’obbligo informativo, dal momento che detta nota è antecedente all’entrata in vigore della norma nella sua nuova formulazione e riguarda le modalità di effettuazione dei controlli sui dipendenti, ma non anche le modalità di uso degli strumenti di lavoro. In proposito, però, la Cassazione ha ritenuto che la norma dell’art. 4, co. 3, St. Lav., nella sua nuova formulazione, che prevede unicamente l’utilizzabilità delle informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 della stessa disposizione per tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli, non può, non operando una distinzione tra informative precedenti e posteriori all’entrata in vigore del d. lgs. n. 151/2015, essere idonea a legittimare un affidamento su una futura e successiva condotta del datore di lavoro volta ad eseguire la norma sopravvenuta. Anzi, per la Cassazione l’affidamento del lavoratore non può non risolversi in una condizione di mero fatto, estranea al perimetro applicativo della norma, con la conseguenza che è ininfluente il tempo in cui si è realizzata l’informativa

Infine, in relazione al caso concreto, la Suprema Corte ha affermato che l’informativa è da ritenersi adeguata poiché risponde opportunamente all’esigenza che al dipendente sia fornita una comunicazione del tipo e della finalità del controllo, in modo che il lavoratore possa averne consapevolezza e regolarsi di conseguenza.

Per questi motivi, dunque, la Cassazione ha rigettato il ricorso della lavoratrice.

2 luglio 2020

*In collaborazione con il dottor Francesco Alifano.

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