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Legittimo il licenziamento del dipendente che accusa in pubblico il datore di lavoro.

Corte di Cassazione, sentenza 24260 del 2016.

La Corte d'Appello di Catania confermava il licenziamento disciplinare di un lavoratore che, nel corso di una riunione sindacale tenutasi a Catania, intervenendo nel dibattito aveva pronunciato frasi lesive della reputazione e del decoro del datore di lavoro.

Il lavoratore aveva impugnato il licenziamento assumendo l'illegittimità del provvedimento del datore di lavoro anche per difetto di proporzionalità rispetto al fatto contestato.

Della controversia veniva investita la Corte di Cassazione.

La Corte di Cassazione ha rilevato che l'esercizio del diritto di critica da parte del lavoratore, che non si contenga entro i limiti del rispetto della verità oggettiva e si traduca in una condotta lesiva del decoro dell'impresa, costituisce violazione dell'obbligo di fedeltà di cui all'articolo 2105 del codice civile ed è comportamento idoneo a ledere definitivamente il rapporto di fiducia che sta alla base del rapporto di lavoro.

Il diritto di critica infatti non può mai compromettere il rispetto dei principi di lealtà e buona fede da parte del lavoratore. Non assume alcun rilievo effettivo la valutazione del fatto che il datore di lavoro abbia o meno subito un danno patrimoniale effettivo né che il lavoratore avesse provato in giudizio le accuse mosse nei confronti del datore di lavoro. Era stata, comunque, accertata la veridicità della condotta addebitata in sede disciplinare, cioè che il lavoratore aveva inviato e letto in pubblico, di fronte ad una numerosa platea composta da circa duecento persone una lettera di contestazione con frasi costituenti gravi accuse anche di fatti penalmente rilevanti. Tale comportamento poteva correttamente integrare, allora, una giusta causa di recesso.

La Cassazione ha rigetto il ricorso del lavoratore condannandolo al pagamento di oltre 4100,00 euro di spese legali.

 

4 gennaio 2017

* In collaborazione con la dott.sa Raffaella Tellone.

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