La voce retributiva connessa ai particolari modi di svolgimento del lavoro può esser soppressa ove vengano meno quei modi di svolgimento della prestazione.
Corte di Cassazione, sentenza 19528 del 2019.
La Corte di Appello di Milano condannava una società al risarcimento del danno da dequalificazione risentito da un dipendente, confermando, però, la reiezione delle domande di pagamento dell'indennità di trasferta e degli incentivi alle vendite, trattandosi di voci connesse con l'espletamento delle trasferte, indubbiamente cessate, e con il raggiungimento di obiettivi di carattere commerciale, estranei ai nuovi ruoli ricoperti dal lavoratore.
Il lavoratore proponeva ricorso per cassazione e lamentava che la acclarata dequalificazione dal ruolo di Sales Manager Clienti Distribuzione Area Nord Ovest a quello di supporto alle agenzie, per la verifica del rispetto delle procedure commerciali da parte dei punti vendita, aveva determinato la perdita degli emolumenti di trasferta ed incentivi alle vendite, legati al patrimonio professionale della qualifica di venditore rivestita, e dotati di natura ontologicamente retributiva, in quanto tale governata dal principio di irriducibilità.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso.
L'adeguamento della retribuzione ai sensi dell'articolo 36 della Costituzione, connesso al principio di irriducibilità della retribuzione, presuppone la valutazione della sussistenza dell'asserito difetto di proporzionalità e di sufficienza della retribuzione rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato e le primarie esigenze di vita del lavoratore e della sua famiglia, considerando quale parametro l'importo globale della retribuzione di fatto percepita dal lavoratore.
La domanda del lavoratore ha ad oggetto un'obbligazione retributiva pura, riferita a specifiche indennità delle quali l’interessato lamenta l'omessa erogazione a seguito della adibizione a mansioni incongruenti, perché dequalificanti, rispetto alla originaria qualifica da lui rivestita, ed in relazione alle quali lamenta l'omessa applicazione del principio di irriducibilità della retribuzione.
Tale principio, dettato dall'articolo 2103 del codice civile, implica che la retribuzione concordata al momento dell'assunzione non è riducibile neppure a seguito di accordo tra il datore e il prestatore di lavoro e che ogni patto contrario è nullo in ogni caso in cui il compenso pattuito anche in sede di contratto individuale venga ridotto.
L'irriducibilità della retribuzione, che si può desumere dal divieto di assegnazione a mansioni inferiori e dalla necessaria proporzione tra l'ammontare della retribuzione e la qualità e quantità del lavoro prestato, è stata intesa nel senso che la voce retributiva connessa ai particolari modi di svolgimento del lavoro, può esser soppressa ove vengano meno quei modi di svolgimento della prestazione, dovendo essere conservata solo in caso contrario.
Il livello retributivo acquisito dal lavoratore subordinato, per il quale opera la garanzia della irriducibilità della retribuzione, prevista dall'articolo 2103 del codice civile, deve essere computato con riferimento ai corrispettivi attinenti alle qualità professionali tipiche della qualifica rivestita (cd. indennità intrinseche), con esclusione dei compensi rapportati a specifici disagi o difficoltà connessi alle prestazioni, i quali non spettano allorché vengano meno le situazioni cui erano collegati.
La Corte di Appello ha correttamente posto in rilievo la circostanza che gli emolumenti dei quali il lavoratore ha rivendicato il computo, ed integrati dagli incentivi alla vendita e dalle indennità di trasferta, in quanto dipendenti dalle modalità di svolgimento delle precedenti mansioni cessate e dal raggiungimento degli obiettivi di carattere commerciale, non connessi al contenuto delle nuove mansioni svolte dal dipendente, non rientrano nel computo delle differenze retributive che legittimamente il collaboratore avrebbe potuto rivendicare.
1 agosto 2019