La reperibilità obbliga il datore di lavoro alla concessione del riposo compensativo se limita le possibilità del lavoratore di organizzare il proprio tempo.
Corte di Cassazione, sentenza 34125 del 2019.
La Cassazione ha accolto il ricorso di una ASL avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli che aveva condannato l’Azienda Sanitaria a risarcire il danno da mancato riposo compensativo successivo al turno di reperibilità a tre dirigenti medici della struttura.
La direttiva 2003/88/CE contiene prescrizioni minime sull’orario di lavoro al fine di migliorare le condizioni di lavoro nella Comunità garantendo la sicurezza e la salute dei lavoratori. L’articolo 2 della direttiva definisce orario di lavoro come qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali e periodo di riposo come qualsiasi periodo che non rientra nell’orario di lavoro.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito che tre sono gli elementi costituitivi della nozione di orario di lavoro: il primo è l’essere il lavoratore nell’esercizio delle sue attività o delle sue funzioni; il secondo l’essere il lavoratore a disposizione del datore di lavoro; il terzo l’essere il dipendente al lavoro. Nei servizi di reperibilità il dipendente è a disposizione del datore di lavoro, mentre bisogna valutare i due concorrenti presupposti dell’esercizio dell’attività o delle funzioni e dell’essere il dipendente al lavoro.
La Corte di Giustizia ha distinto il servizio effettuato secondo un regime di presenza fisica sul luogo di lavoro da quello che si svolge secondo un sistema di reperibilità. In questo secondo caso, infatti, deve essere considerato orario di lavoro soltanto il tempo relativo alla prestazione effettiva del servizio giacché il dipendente, pur essendo a disposizione del datore di lavoro, può gestire il suo tempo in modo più libero e dedicarsi ai propri interessi.
Il criterio interpretativo della Corte di Giustizia ha esteso la nozione di orario di lavoro ai servizi di reperibilità eseguiti dal lavoratore presso il proprio domicilio. La Corte di Giustizia, infatti, ha distinto la posizione del lavoratore che deve, durante le ore di disponibilità, essere semplicemente a disposizione del datore di lavoro affinché quest’ultimo possa contattarlo, da quella in cui il lavoratore sia tenuto a passare il periodo di disponibilità nel suo domicilio, a tenersi a disposizione del datore di lavoro e ad essere in grado di raggiungere il luogo di lavoro entro pochi minuti. In tali condizioni, le ore di disponibilità costituiscono orario di lavoro giacché i vincoli imposti al lavoratore sono di natura tale da limitare fortemente le possibilità di svolgere altre attività.
Il fattore dirimente per la Corte di Giustizia è la possibilità per i lavoratori di gestire il loro tempo liberamente: è un elemento che denota che il periodo di tempo in questione non costituisce orario di lavoro.
Ove il servizio di reperibilità festiva dovesse essere qualificato nell’ambito dell’orario di lavoro, il riposo compensativo previsto dalle norme collettive assumerebbe natura di recupero della festività lavorata.
Per quanto attiene al caso in esame, ai sensi delle norme collettive l’obbligo di reperibilità immediata del dirigente medico previsto dal CCNL viene specificato dalle singole aziende in un periodo determinato di tempo entro il quale il dirigente medico è obbligato a raggiungere la struttura. Ne deriva che, al fine di valutare se gli obblighi previsti in capo al dirigente medico in servizio di pronta disponibilità festiva siano tali da limitare in modo oggettivo le sue possibilità di dedicarsi ai propri interessi, personali e sociali, occorre tenere conto del regolamento adottato sul punto dalle aziende.
La Cassazione, in definitiva, ha accolto il ricorso della ASL, cassando la sentenza impugnata alla luce del principio di diritto per cui il servizio di pronta disponibilità prestato dal dirigente medico in giorno festivo obbliga la azienda sanitaria alla concessione del riposo compensativo, indipendentemente dalla domanda del dipendente, se esso, in relazione al vincolo derivante, da un punto di vista geografico e temporale, dalla disciplina aziendale sull’obbligo di essere fisicamente presente nel luogo di lavoro, limita in modo oggettivo le possibilità del dirigente medico di dedicarsi ai propri interessi personali e sociali.
12 ottobre 2020