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La Pubblica Amministrazione risponde del danno derivante dal fatto illecito del dipendente anche nel caso in cui agisca per finalità personali.

Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 13246 del 2019.

Per l'illecita sottrazione di somme depositate presso un ufficio giudiziario ed alle quali avrebbe avuto diritto quale parte di un giudizio di divisione, un cittadino conveniva in giudizio il cancelliere ed il Ministero della Giustizia, chiedendone la condanna al risarcimento del danno a lui derivato dal comportamento illecito del dipendente pubblico, il quale si era appropriato di quelle somme, poi venendo condannato per peculato.

La Corte di Appello negava ogni pretesa risarcitoria per avere il dipendente agito per un fine strettamente personale ed egoistico, estraneo all'Amministrazione e addirittura contrario ai fini che essa perseguiva, idoneo ad escludere ogni collegamento con le attribuzioni proprie dell'agente.

Della controversia sono state investite le Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

L'articolo 28 della Costituzione dispone che i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici.

L’articolo 2049 del codice civile dispone che i padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti.

Il comportamento della Pubblica Amministrazione che può dar luogo al risarcimento del danno o si riconduce all'estrinsecazione del potere pubblicistico e cioè ad un formale provvedimento amministrativo, emesso nell'ambito e nell'esercizio di poteri autoritativi e discrezionali ad essa spettanti, oppure si riduce ad una mera attività materiale, disancorata e non sorretta da atti o provvedimenti amministrativi formali.

Nel primo caso (attività provvedimentale), l'immedesimazione organica sussiste ed è ammessa la sola responsabilità diretta in forza della sicura imputazione della condotta all'ente.

Nel secondo caso, di attività estranea a quella istituzionale o comunque materiale, non vi è motivo per limitare la responsabilità extracontrattuale dello Stato o dell'ente pubblico.

Ogni diversificazione di trattamento si risolverebbe in un ingiustificato privilegio dello Stato o dell'ente pubblico, in palese contrasto con il principio di uguaglianza formale e col diritto di difesa, poiché escluderebbe una piena tutela risarcitoria.

Si tratta, allora, di un regime di responsabilità articolato, corrispondente alla composita natura delle condotte dello Stato e degli enti pubblici: a seconda che cioè esse siano poste in essere nell'esercizio, pur se eccessivo o illegittimo, delle funzioni conferite agli agenti ed oggettivamente finalizzate al perseguimento di scopi pubblicistici, oppure che siano poste in essere da costoro quali singoli, ma approfittando della titolarità o dell'esercizio di quelle funzioni (o poteri o attribuzioni), sia pur piegandole al perseguimento di fini estranei o contrari a quelli pubblicistici.

Nel primo caso, l'illecito è riferito direttamente all'Ente e questi ne risponderà, altrettanto direttamente; nel secondo caso la responsabilità civile dell'Ente deve invece dirsi indiretta, per fatto del proprio dipendente o funzionario.

Resta intatta la concorrente e solidale responsabilità del funzionario o dipendente.

Deve superarsi la rigida alternativa, con rapporto di mutua esclusione, fra i criteri di imputazione pubblicistico o diretto e privatistico o indiretto: l'articolo 28 della Costituzione non preclude l'applicazione della normativa del codice civile; la concorrente responsabilità della Pubblica Amministrazione e del suo dipendente per i fatti illeciti posti in essere da quest'ultimo al di fuori delle finalità istituzionali di quella deve seguire, in difetto di deroghe normative espresse, le regole del diritto comune.

Lo Stato o l'ente pubblico risponde del fatto illecito del proprio funzionario o dipendente ogni qual volta questo non si sarebbe verificato senza l'esercizio delle funzioni o delle attribuzioni o dei poteri pubblicistici: e ciò a prescindere dal fine soggettivo dell'agente (non potendo dipendere il regime di oggettiva responsabilità dalle connotazioni dell'atteggiamento psicologico dell'autore del fatto), ma in relazione all'oggettiva destinazione della condotta a fini diversi da quelli istituzionali o contrari a quelli per i quali le funzioni o le attribuzioni o i poteri erano stati conferiti.

Sono pertanto fonte di responsabilità dello Stato o dell'ente pubblico anche i danni determinati da condotte del funzionario o dipendente, pur se devianti o contrarie rispetto al fine istituzionale del conferimento del potere di agire, purché si tratti di condotte a questo legate da un nesso di occasionalità necessaria, tale intesa la relazione per la quale, in difetto dell'estrinsecazione di detto potere, la condotta illecita dannosa, e quindi il danno ingiusto, non sarebbe stata possibile.

Nel caso affrontato, le funzioni attribuite al cancelliere in servizio presso un ufficio giudiziario, comprendevano pure quelle di custodia o di cooperazione nella custodia delle somme depositate, ricavate nelle fasi di un giudizio civile di divisione, e funzionalizzate al perseguimento dello scopo istituzionale della loro consegna agli aventi diritto, a garanzia dell'imparzialità della Giustizia e del corretto andamento della pubblica amministrazione.

La violazione del cancellerie del divieto di distrarre quelle somme dal loro fine istituzionale era una conseguenza riconducibile ad una sequenza causale oggettivamente non improbabile e che quindi avrebbe dovuto prevenirsi. Il cancelliere infedele ha potuto appropriarsi di quelle somme proprio e soltanto perché era titolare di quelle attribuzioni o funzioni o poteri, sia pure appunto piegandoli a fini eminentemente personali od egoistici ed oltretutto delittuosi, accedendo alla cassaforte in cui il libretto era custodito o comunque impossessandosene, falsificando la firma del responsabile del mandato di pagamento ed accedendo presso il depositario per riscuoterlo simulando l'attuazione di un atto amministrativo (giudiziario) legittimamente emesso.

Del danno conseguente a tale complessiva condotta criminosa, obiettivamente prevenibile da chi conferisca ad altri il potere di custodire somme o di eseguire ordini o mandati di pagamento, non poteva che essere responsabile in solido, pertanto, l'ente pubblico da cui il funzionario dipendeva.

L'Amministrazione della Giustizia risponde dei danni cagionati dal delitto di peculato del cancelliere che, in ragione dell'esercizio delle funzioni conferitegli, ha violato, per fini personali od egoistici, i propri doveri di ufficio, appropriandosi delle somme giacenti su libretto di deposito giudiziario affidato alla sua custodia mediante falsificazione della firma del funzionario competente per il mandato di pagamento.

19 giugno 2019

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