Articolo

La nullità del licenziamento a causa matrimonio riguarda sola la lavoratrice.

Corte di Cassazione, sentenza 28926 del 2018.

La Corte d'appello di Bologna, nell’ambito di un procedimento promosso da una lavoratore, ribadiva l'inapplicabilità del divieto di licenziamento a causa di matrimonio previsto dall’articolo 35 del d.lgs. 198/2006, non ravvisandosi una ingiustificata discriminazione tra sessi, per il riferimento alla sola donna in quanto potenziale madre e come tale destinataria esclusiva di misure protettive incidenti sui costi e l'organizzazione aziendale.

Anche la Corte di Cassazione, investita della controversia, ha ribadito che il divieto di licenziamento per causa di matrimonio riguarda solo la donna.

L’articolo 35 del d.lgs. 198/2006 stabilisce la nullità del licenziamento della lavoratrice dipendente a causa di matrimonio, presunta, salva la prova datoriale di ricorrenza delle ipotesi stabilite, per il periodo dal giorno della richiesta di pubblicazioni di matrimonio, seguita dalla sua celebrazione, fino a un anno dopo la stessa.

La norma, inserita proprio nel codice di pari opportunità tra uomo e donna, deve essere letta quale approdo della tutela costituzionale assicurata ai diritti della donna lavoratrice.

La legge consente la facoltà di recesso e, quindi, di prova contraria dei motivi dello stesso da parte datoriale ai casi tassativi: di colpa della lavoratrice integrante giusta causa di risoluzione del rapporto; di cessazione dell'attività dell'azienda cui ella sia addetta; di ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice sia stata assunta o di risoluzione del rapporto per scadenza del termine: così rendendo assoluta in ogni altra ipotesi la presunzione di illegittimità, in relazione alla protezione accordata dalla legge alle lavoratrici.

Tale norma è stata emanata in seguito alla prassi diffusa dei licenziamenti delle lavoratrici in occasione del loro matrimonio ed allo scopo di dirimere, nel senso più rispondente alle esigenze della società, il conflitto tra i contrapposti interessi delle lavoratrici alla conservazione del posto di lavoro e dei datori di lavoro all'organizzazione dell'attività di impresa.

La tutela accordata alle lavoratrici contraenti matrimonio è sorretta da ragioni coerenti con la realtà sociale e fondate su una pluralità di principi costituzionali (di garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo, fra i quali la libertà di contrarre matrimonio; di realizzazione del principio di uguaglianza sostanziale attraverso la rimozione di ogni ostacolo, anche di fatto, al pieno sviluppo della persona umana; di agevolazione della formazione della famiglia attraverso l'eliminazione di ogni ostacolo, anche indiretto; di fissazione di condizioni di lavoro per la donna compatibili con l'adempimento della sua funzione familiare, sull'evidente presupposto della sua libertà di diventare sposa e madre; di proclamazione del diritto al lavoro tra i principi fondamentali della Repubblica e di tutela del lavoro) ben giustificanti misure legislative intese a consentire alla donna di poter coniugare il legittimo diritto al lavoro con la propria vita coniugale e familiare.

La protezione assicurata dalla Costituzione, non si limita, infatti, alla salute fisica della donna e del bambino, ma investe tutto il complesso rapporto che si svolge tra madre e figlio. Ed esso deve essere tutelato con riguardo non solo ai bisogni più propriamente biologici, ma anche alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo collegate allo sviluppo della personalità del bambino. Sicché tali principi, declinati con quello di uguaglianza, impongono alla legge di impedire che dalla maternità, e dagli impegni connessi alla cura del bambino, possano derivare conseguenze negative e discriminatorie per la lavoratrice madre: così che anche la maternità non si traduca, in concreto, in un impedimento alla realizzazione dell'effettiva parità di diritti della donna lavoratrice.

Il divieto di licenziamento a causa di matrimonio della sola lavoratrice, lungi dall'essere discriminatorio, è assolutamente legittimo, in quanto rispondente ad una diversità di trattamento giustificata da ragioni, non già di genere del soggetto che presti un'attività lavorativa, ma di tutela della maternità, costituzionalmente garantita alla donna, pure titolare come lavoratrice degli stessi diritti dell'uomo, in funzione dell'adempimento della sua essenziale funzione familiare.

Tale norme non è certamente in contrasto con la normativa antidiscriminatoria Europea che non osta al mantenimento o all'adozione di misure che prevengano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato. La Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea prevede che, al fine di poter conciliare vita familiare e professionale, ogni persona ha il diritto di essere tutelata contro il licenziamento per un motivo legato alla maternità e il diritto a un congedo di maternità retribuito e a un congedo parentale dopo la nascita o l'adozione di un figlio.

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha ribadito che il congedo di maternità mira a permettere alla madre di riprendersi dal parto e di allattare il neonato se lo desidera, e dunque per la sua stessa natura è specifico delle donne e legato al sesso femminile e pertanto le donne e gli uomini non si trovano in una situazione analoga.

Nell'ordinamento italiano, proprio in ragione della costitutiva differenza della persona umana e della sua diversa vocazione generativa e relazionale nell'ambito familiare, costituzionalmente tutelata, è apprestata, sotto il profilo assistenziale, dalla normativa relativa al congedo di maternità, una più forte tutela prioritaria (la cui inosservanza è sanzionata anche penalmente, a differenza che per il congedo di paternità). E ciò appunto per la sottolineata complessità, proprio nel primissimo periodo di vita, del rapporto tra madre e figlio e della coessenzialità della sua protezione con riguardo non solo ai bisogni più propriamente biologici, ma anche alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo collegate allo sviluppo della personalità del bambino.

Rispetto ad esso, al congedo di paternità è assegnata una funzione sussidiaria, nei casi in cui la madre (per causa di morte, di grave infermità, ovvero di abbandono, o di affidamento esclusivo al padre) non sia in condizione di assolvere alla propria funzione prioritaria.

16 gennaio 2018

Condividi questo articolo: