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La manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo comporta l’illegittimità del recesso. Vittoria in Tribunale per lo Studio Legale Carozza.

Tribunale di Torre Annunziata, ordinanza 1975 del 2020.

Il Giudice del Lavoro di Torre Annunziata ha accolto il ricorso di un lavoratore del Pontificio Santuario di Pompei avverso il licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo perché fondato su fatti manifestamente insussistenti.

Il recesso, nella ricostruzione del datore di lavoro, sarebbe stato adottato per un esubero strutturale negli uffici tecnici e amministrativi a cui è preposto il lavoratore e tale eccedenza di personale avrebbe giustificato il licenziamento per giustificato motivo.

La difesa del lavoratore ha contestato i dati riportati dal datore di lavoro rilevando la insussistenza dell’esubero ed offrendo una descrizione alternativa dello stato delle attività al momento del recesso.

Il Giudice del Lavoro ha ritenuto necessario ammettere la prova per testimoni.

Il Magistrato ha richiamato un consolidato orientamento della giurisprudenza per cui, per aversi un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, devono ricorrere alcuni presupposti: una modifica nell’organizzazione aziendale imposta da situazioni sfavorevoli e non contingenti; il nesso causale tra dette situazioni e la soppressione dello specifico posto di lavoro; l’impossibilità di ricollocare il lavoratore in mansioni equivalenti (obbligo di repechage che grava sul datore di lavoro); il rispetto di criteri di scelta dei dipendenti da licenziare orientati dai principi di buona fede e correttezza. Su questi presupposti il controllo giurisprudenziale non può spingersi sino a sindacare il merito della scelta imprenditoriale (espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’articolo 41 della Costituzione), ma può unicamente accertare la non pretestuosità dei motivi del recesso e la sussistenza del nesso causale tra scelta aziendale e licenziamento.

In materia di prova, l’articolo 5 della legge 604/1966 dispone che l’onere di provare la sussistenza delle ragioni poste alla base del giustificato motivo oggettivo debba gravare unicamente sul datore di lavoro.

Per quanto attiene al caso in esame, quindi, il Pontificio Santuario di Pompei, che né ha documentato in alcun modo una diminuzione delle proprie entrate né ha prodotto in giudizio il proprio bilancio, non ha fornito alcuna prova della effettività delle ragioni addotte a sostegno del recesso o della correlazione causale tra le ragioni indicate e la specifica posizione lavorativa del collaboratore.

Il Giudice del Lavoro, quindi, ha reputato illegittimo il recesso perché non è stato raggiunto un adeguato accertamento delle ragioni economiche e produttive che, incidendo sull’organizzazione aziendale, possano giustificare la soppressione del posto di lavoro del nesso e del causale tra l’asserita crisi e la specifica posizione dell’interessato.

Il Tribunale di Torre Annunziata ha ritenuto fondata la domanda del lavoratore ed ha anche applicato la tutela reintegratoria prevista dall’articolo 18 della legge 300/1970, come riformulata dalla legge 92/2012, nei casi di manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

31 agosto 2020

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