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L'iscrizione nelle liste di mobilità è possibile anche per i licenziamenti oltre i 120 giorni dalla conclusione della procedura se il ritardo è giustificato e non dipende dal lavoratore

Corte di Cassazione,  sentenza  n. 13112 del 2013.

Un lavoratore agiva in giudizio al fine di ottenere la dichiarazione del suo diritto nei confronti dell'INPS e della Regione all'iscrizione nelle liste di mobilità e a percepire l'indennità di mobilità, a seguito del suo licenziamento da parte della datrice di lavoro, avvenuto nel quadro del licenziamento di tutto il personale della società. Per il lavoratore, però, il licenziamento avveniva oltre il 120° giorno successivo alla conclusione della relativa procedura di mobilità, in ragione del suo temporaneo trattenimento in servizio, quale ragioniere contabile, per il disbrigo delle ultime pratiche burocratiche. Il lavoratore sosteneva che il licenziamento in data diversa da quella degli altri dipendenti era dipeso dal necessario disbrigo delle ultime pratiche e che il ritardo della datrice di lavoro nel segnalare la sua situazione traeva origine da irregolarità ad essa imputabili.
La datrice di lavoro aveva attivato per tutti i dipendenti la procedura di mobilità di cui all'art. 4 della legge n. 223 del 1991 e questa si era conclusa con l'accordo sindacale, cui era immediatamente seguita la messa in mobilità dei dipendenti. Solo il lavoratore che agiva in giudizio veniva licenziato oltre i 120 giorni dalla conclusione della procedura anche se  quest'ultimo recesso era riconducibile alla decisione del datore di lavoro di cessare l'attività e che la sua protrazione nel tempo era dovuta alla necessità del disbrigo da parte del lavoratore delle ultime pratiche burocratiche (in qualità di ragioniere contabile).
La ragione per cui tale protrazione del licenziamento non figurava dell'accordo collettivo conclusivo della procedura (come avrebbero consentito l'art. 8 del D.L. n. 148 del 1993 e l'articolo 4 legge n. 223 del 1991) consisteva nella mancata tempestiva regolarizzazione della sua posizione lavorativa, effettuata dalla impresa in ritardo.
Secondo la Corte di Cassazione, tali inadempienze del datore di lavoro non possono ridondare a scapito del dipendente, in termini di perdita delle provvidenze previste per il licenziamento in questione. Non può costituire ostacolo all'accesso al trattamento di mobilità il fatto che il lavoratore abbia proposto domanda di iscrizione alle liste oltre il termine di sessanta giorni dal licenziamento, ove tale ritardo venga dallo stesso giustificato dalla ricorrenza di gravi motivi.
La Corte di Cassazione ha, quindi precisato, il principio secondo cui in materia di licenziamento per cessazione dell'attività ai sensi dell'art. 24 della legge n. 223 del 1991, l'eventuale licenziamento di un dipendente oltre il termine di 120 giorni dalla conclusione della procedura di mobilità, non impedisce al dipendente l'esercizio della facoltà, attribuitagli dall'art. 4 del D.L. n. 148 del 1993, di chiedere direttamente all'ufficio del lavoro competente l'iscrizione nelle liste di mobilità nel caso in cui la protrazione del licenziamento oltre il termine non sia prevista nell'accordo collettivo conclusivo della procedura per fatto imputabile al datore di lavoro. Sempre secondo la Corte di Cassazione, il termine di sessanta giorni dal licenziamento, che l'art. 4 del D.L. n. 148 del 1993, stabilisce per l'esercizio da parte del dipendente licenziato del potere di chiedere l'iscrizione nelle liste di mobilità, ha carattere ordinatorio e può essere prorogato anche dopo la scadenza dello stesso, in presenza di adeguate giustificazioni del ritardo.

10/06/2013
 

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