L'esclusione per assenza dovuta a un congedo di maternità da un corso di formazione per la nomina come dipendente di ruolo viola il principio di parità
Corte di Giustizia Europea, causa C-595/12.
Una dipendente del Ministero della Giustizia era stata esclusa da un corso di formazione per l’assunzione della qualifica di vice commissario di polizia penitenziaria a seguito della sua assenza dal corso per oltre 30 giorni per un congedo obbligatorio di maternità.
Ai sensi del d. lgs. 146/2000, i vincitori del concorso per vice commissario penitenziario del ruolo direttivo ordinario della polizia penitenziaria sono nominati vice commissari penitenziari in prova e devono frequentare un corso di dodici mesi, al termine del quale devono sostenere un esame. Il personale di sesso femminile, la cui assenza oltre i trenta giorni è stata determinata da maternità, è ammesso a frequentare il corso successivo ai periodi d’assenza dal lavoro previsti dalle disposizioni sulla tutela delle lavoratrici madri.
La dipendente aveva promosso ricorso al TAR contro il provvedimento dell'Amministrazione penitenziaria con cui era stata definitivamente stabilita la dimissione dal corso di formazione per l'accesso alla posizione di ruolo pur essendole state fornite garanzie di poter frequentare il corso seguente, con la perdita, però, della retribuzione fino ad allora.
Il TAR sottoponeva alla Corte di Giustizia le questioni pregiudiziali di verifica di compatibilità della normativa italiana con il diritto comunitario.
La Corte di Giustizia ha rilevato che la dipendente è stata esclusa da un corso a causa della sua assenza per congedo di maternità e che tale corso era diretto a prepararla a un esame che, se superato, le avrebbe permesso di accedere a un livello di carriera superiore. Tale corso doveva essere considerato rientrante nelle condizioni di lavoro. La Corte di Giustizia ha sostenuto che l’esclusione dal corso di formazione professionale a causa del congedo di maternità ha avuto un’incidenza negativa sulle condizioni di lavoro. Gli altri lavoratori ammessi al primo corso hanno avuto da subito la possibilità di accedere al superiore livello di carriera di vice commissario, percependo prima la retribuzione corrispondente. La lavoratrice in congedo di maternità era stata, invece, obbligata ad attendere l’inizio del corso di formazione successivo, il cui periodo di svolgimento restava, peraltro, incerto.
L’esclusione dal primo corso e il conseguente divieto di partecipare all’esame conclusivo hanno comportato per l’interessata la perdita dell’opportunità di beneficiare, come i suoi colleghi, di migliori condizioni di lavoro ed ha configurato, secondo la Corte, un trattamento sfavorevole.
La parità fra uomini e donne è un principio fondamentale del diritto comunitario. Il Trattato CE impone alla stessa l’obbligo concreto della sua promozione. La giurisprudenza della Corte di giustizia sostiene che qualsiasi trattamento sfavorevole nei confronti della donna in relazione alla gravidanza o alla maternità è una discriminazione diretta fondata sul sesso.
L’articolo 15 della direttiva 2006/54/CE riguardante l'attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, enuncia che alla fine del periodo di congedo per maternità, la donna ha diritto di riprendere il proprio lavoro o un posto equivalente secondo termini e condizioni che non le siano meno favorevoli, e a beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro che le sarebbero spettati durante la sua assenza.
La Corte di Giustizia ha stabilito, quindi, che l’articolo 15 della direttiva 2006/54 osta a una normativa nazionale che esclude una donna in congedo di maternità da un corso di formazione professionale inerente al suo impiego ed obbligatorio per poter ottenere la nomina in ruolo e beneficiare di condizioni d’impiego migliori, pur se le è garantito il diritto di partecipare a un corso di formazione successivo.
17/03/2014