L’autorizzazione del datore di lavoro pubblico per gli incarichi esterni è necessaria anche per i dipendenti in aspettativa.
Corte di Cassazione, sentenza 6637 del 2019.
L'Agenzia delle Entrate emetteva nei riguardi di una società ordinanza ingiunzione per il pagamento di euro 40.788,00 ai sensi ai sensi dell’articolo 53 del Decreto legislativo 165/2001 a titolo di sanzione amministrativa per avere conferito, negli anni 2006 e 2007, ad un soggetto incarichi di consulenza, senza l'autorizzazione del datore di lavoro pubblico e per non avere dato comunicazione dei compensi corrisposti nell'anno 2007. La persona che aveva ricevuto l’incarico di consulenza all'epoca era dipendente della Regione Piemonte, già inquadrato nei ruoli della Direzione Risorse Umane, ma poi collocato in aspettativa, per essere temporaneamente assunto presso l'Agenzia per lo svolgimento dei XX giochi olimpici invernali Torino 2006.
L'opposizione avverso tale ordinanza ingiunzione è stata rigettata dalla Corte d'Appello. La Corte territoriale ha ritenuto che il regime di aspettativa non esclude la persistenza del rapporto di lavoro pubblico, né l'applicazione dell’articolo 53 del Decreto legislativo 53/2001; l'insussistenza dell'elemento soggettivo della colpa è stata esclusa in ragione delle pregresse autorizzazioni richieste dal medesimo dipendente per lavorare presso altri datori.
La società ha proposto ricorso per cassazione sottolineando, tra l’altro, che il soggetto destinatario dell’incarico di consulenza all’epoca dei fatti era in un regime di aspettativa diverso da quello delle forme tipiche (aspettativa per motivi di studio, di famiglia o per malattia). Tale stato era in effetti appositamente impostato dalla legge al fine di consentire l'assunzione presso un altro ente pubblico (l’Agenzia Torino 2006), dal che si sarebbe dovuto desumere che non vi era incompatibilità con lo svolgimento di altre attività di lavoro, senza necessità di autorizzazioni e senza che potesse farsi applicazione delle regole di cui all'articolo 53 del Decreto legislativo 165/2001.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso rilevando che il fatto che il soggetto cui era stata richiesta l’attività di consulenza si trovasse in aspettativa presso uno dei suoi datori di lavoro pubblici (egli, infatti, stava lavorando presso l'Agenzia Torino 2006 che è pacificamente anch'essa ente pubblico) non ha rilievo. L'aspettativa non fa cessare il rapporto di lavoro e la norma non contiene una distinzione a seconda dello stato del rapporto stesso, mentre l'appartenenza ancora sussistente del dipendente ad una pubblica amministrazione, in questo caso non solo l'Agenzia, ma anche la Regione, non fa cessare i rischi di conflitto di interessi o di possibile utilizzazione di entrature cui la norma, insieme ad altri interessi, è preposta a prevenire.
27 maggio 2020