L'arresto in flagranza del dipendente pubblico non giustifica di per sé il licenziamento senza preavviso
Corte di Cassazione, sentenza n. 24728 del 2014.
Un istruttore direttivo della Motorizzazione civile di Palermo veniva tratto in arresto in flagranza di reato per il delitto di corruzione e veniva colpito da un provvedimento di custodia cautelare in carcere emesso dal Tribunale di Palermo.
La Amministrazione intimava il licenziamento immediato al dipendente.
Il Collegio di disciplina costituito presso il Dipartimento del personale della Presidenza della Regione Sicilia annullava il licenziamento con lodo.
La Corte di Appello confermava il provvedimento.
L'Amministrazione invocava l'applicazione della disposizione del contratto collettivo regionale di lavoro che disciplina il procedimento disciplinare e che avrebbe consentito il recesso immediato dal rapporto.
La Legge 97/2001 ha, invece, introdotto specifiche norme sul rapporto tra processo penale e procedura disciplinare ed ha regolamentato gli effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche.
La Corte di Cassazione, investita della controversia, ha rilevato che il contratto--- collettivo, come anche espressamente disposto dall'art. 8 della legge n. 97/2001, giammai può prevalere sulla normativa della legge stessa.
La Legge 97/2011 ha previsto che la estinzione del rapporto di lavoro o di impiego segue di diritto alla condanna alla reclusione non inferiore a tre anni per i delitti contro la Pubblica Amministrazione (tra cui il peculato, la concussione, la corruzione) mentre negli altri casi l'estinzione può essere disposta solo a seguito di rituale procedimento disciplinare.
La previsione del contratto collettivo non può costituire una fattispecie autonoma estranea alla disciplina di legge.
La Corte di Cassazione ha, dunque, rigettato il ricorso della Amministrazione confermando l'annullamento del licenziamento.
01/12/2014