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L’apertura alla casella elettronica del sottoposto costituisce reato di accesso abusivo ad un sistema informatico.

Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza 13057 del 2016.

La Corte di Appello di Bologna condannava il responsabile dell'Ufficio di Polizia Provinciale per accesso abusivo alla posta elettronica di un dipendente (reato di cui all'articolo 615 del Codice penale), nonché per aver preso visione di messaggi contenuti nella casella di posta elettronica di quest'ultimo, riqualificando il suddetto reato ai sensi dell'articolo 616 del Codice penale (Violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza).

L’imputato, approfittando della sua qualità di responsabile dell'Ufficio di Polizia Provinciale e dell'assenza temporanea del titolare della casella, si introdusse in due orari diversi, nel sistema di posta elettronica del dipendente, protetto da password, e, dopo aver preso visione del contenuto di numerosi documenti, aprendoli, scaricò due di essi.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell’imputato avverso la sentenza di condanna.

La casella di posta elettronica rappresenta, inequivocabilmente, un sistema informatico rilevante ai sensi dell’articolo 615 ter del Codice penale. Nell'introdurre tale nozione nell'ordinamento il legislatore ha fatto evidentemente riferimento a concetti già diffusi ed elaborati nel mondo dell'economia, della tecnica e della comunicazione, essendo stato mosso dalla necessità di tutelare nuove forme di aggressione alla sfera personale, rese possibili dallo sviluppo della scienza.

La casella di posta non è altro che uno spazio di memoria di un sistema informatico destinato alla memorizzazione di messaggi, o informazioni di altra natura (immagini, video, ecc.), di un soggetto identificato da un account registrato presso un provider del servizio. E l'accesso a questo spazio di memoria concreta, chiaramente, un accesso al sistema informatico, giacché la casella non è altro che una porzione della complessa apparecchiatura fisica e astratta destinata alla memorizzazione delle informazioni. Allorché questa porzione di memoria sia protetta, mediante l'apposizione di una password, in modo tale da rivelare la chiara volontà dell'utente di farne uno spazio a sé riservato ogni accesso abusivo allo stesso concreta l'elemento materiale del reato di cui all’articolo 615 ter del Codice penale. Allorché, in un sistema informatico pubblico (che serva, cioè, una Pubblica Amministrazione), siano attivate caselle di posta elettronica, protette da password personalizzate, a nome di uno specifico dipendente, quelle caselle rappresentano il domicilio informatico proprio del dipendente, sicché l'accesso abusivo alle stesse, da parte di chiunque (quindi, anche da parte del superiore gerarchico), integra il reato di cui all'articolo 615 ter del codice penale, giacché l'apposizione dello sbarramento, avvenuto col consenso del titolare del sistema, dimostra che a quella casella è collegata una facoltà del proprietario di opporsi a ogni ingerenza degli estranei, di cui anche i superiori devono tenere conto. La password personalizzata dal lavoratore comprova anche che la casella rappresenta uno spazio a disposizione, in via esclusiva, della persona, sicché la sua invasione costituisce, al contempo, lesione della riservatezza.

20 luglio 2020


 

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