Integra il reato di truffa la condotta del lavoratore che effettua un viaggio nel periodo in cui usufruisce di permessi per assistere un familiare affetto da handicap.
Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza 54712 del 2016.
Una lavoratrice era stata condannata per il delitto di truffa per avere utilizzato i permessi retribuiti di cui alla legge 104/1992 non per assistere il familiare disabile ma per recarsi all'estero in viaggio con la propria famiglia.
La Suprema Corte, investita della controversia, pur dando atto nel caso affrontato dell’intervenuta prescrizione del reato, ha confermato la configurabilità dell’illecito penale e delle conseguenti statuizioni di condanna al risarcimento del danno.
L’articolo 33 della legge 104/1992, a seguito delle intervenute novelle, dispone che a condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa.
La Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui non include il convivente tra i soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito per l'assistenza alla persona con handicap in situazione di gravità, in alternativa al coniuge, parente o affine entro il secondo grado.
Il permesso mensile retribuito è espressione dello Stato sociale che eroga una provvidenza in forma indiretta, tramite facilitazioni e incentivi ai congiunti che si fanno carico dell'assistenza di un parente disabile grave. Trattasi di uno strumento di politica socio-assistenziale, che è basato sul riconoscimento della cura alle persone con handicap in situazione di gravità prestata dai congiunti e sulla valorizzazione delle relazioni di solidarietà interpersonale ed intergenerazionale.
I permessi retribuiti sono indirizzati a favorire l'assistenza alla persona affetta da handicap grave in ambito familiare. L’interesse della norma è quello di assicurare in via prioritaria la continuità nelle cure e nell'assistenza del disabile che si realizzino in ambito familiare. Tanto più che i soggetti tutelati sono portatori di handicap in situazione di gravità, affetti cioè da una compromissione delle capacità fisiche, psichiche e sensoriali tale da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione.
L'istituto del permesso mensile retribuito è dunque in rapporto di stretta e diretta correlazione con le finalità di tutela della salute psico-fisica della persona portatrice di handicap.
La norma ha una duplice finalità: a) in primo luogo, è preposta ad assicurare in via prioritaria la continuità nelle cure e nell'assistenza del disabile che si realizzino in ambito familiare, indipendentemente dall'età e dalla condizione di figlio dell'assistito; b) in secondo luogo, costituisce, contemporaneamente, un intervento economico integrativo di sostegno alle famiglie il cui ruolo resta fondamentale nella cura e nell'assistenza dei soggetti portatori di handicap.
In tale ottica, i suddetti permessi lavorativi, sono soggetti ad una duplice lettura: a) vengono concessi per consentire al lavoratore di prestare la propria assistenza con ancora maggiore continuità; b) vengono concessi per consentire al lavoratore, che con abnegazione dedica tutto il suo tempo al famigliare handicappato, di ritagliarsi un breve spazio di tempo per provvedere ai propri bisogni ed esigenze personali.
Per la legge, l'unico presupposto per la concessione dei permessi è che il lavoratore assista il famigliare handicappato con continuità e in via esclusiva: ma, è del tutto evidente che tale locuzione non implica un'assistenza continuativa di 24 ore, per la semplice ed assorbente ragione che, durante le ore lavorative, il lavoratore non può contemporaneamente assistere il parente. E’ sufficiente che sia prestata con modalità costanti e con quella flessibilità dovuta anche alle esigenze del lavoratore.
Di conseguenza, se è considerata assistenza continua quella che il lavoratore presta nei giorni in cui lavora (e, quindi, l'assistenza che presta dopo l'orario di lavoro, al netto, pertanto, delle ore in cui, lavorando, non assiste il parente handicappato), ne consegue che non vi è ragione per cui tale nozione debba mutare nei giorni in cui il lavoratore usufruisce dei permessi: infatti, anche in quei giorni egli è libero di graduare l'assistenza al parente secondo orari e modalità flessibili che tengano conto, anzitutto, delle esigenze dell'handicappato; il che significa che nei giorni di permesso, l'assistenza, sia pure continua, non necessariamente deve coincidere con l'orario lavorativo, proprio perché tale modo di interpretare la legge andrebbe contro gli stessi interessi dell'handicappato.
L'agevolazione, consiste, quindi, nel fatto che il beneficiario del premesso ha a disposizione l'intera giornata per programmare al meglio l'assistenza in modo tale da potersi ritagliare uno spazio per compiere quelle attività che non sono possibili (o comunque difficili) quando l'assistenza è limitata in ore prestabilite e cioè dopo l'orario di lavoro.
In altri termini, i permessi servono a chi svolge quel gravoso di assistenza a persona handicappate, di poter svolgere un minimo di vita sociale, e cioè praticare quelle attività che non sono possibili quando l'intera giornata è dedicata prima al lavoro e, poi, all'assistenza.
Ma, è ovvio che l'assistenza dev'esserci.
E' evidente, infatti, che l'assistenza non è fattualmente ipotizzabile nelle ipotesi in cui il fruitore dei permessi, si disinteressi completamente dell'assistenza, partendo per l'estero: i permessi, infatti, non possono e devono essere considerati come giorni di ferie (perché a tal fine è preposto un ben preciso e determinato istituto giuridico), ma solo come un'agevolazione che il legislatore ha concesso a chi è si è fatto carico di un gravoso compito, di poter svolgere l'assistenza in modo meno pressante e, quindi, in modo da potersi ritagliarsi in quei giorni in cui non è obbligato a recarsi al lavoro, delle ore da poter dedicare esclusivamente alla propria persona.
Colui che usufruisce dei permessi retribuiti di cui all’articolo 33 della legge 104/1992, pur non essendo obbligato a prestare assistenza alla persona handicappata nelle ore in cui avrebbe dovuto svolgere attività lavorativa, non può, tuttavia, utilizzare quei giorni come se fossero giorni feriali senza, quindi, prestare alcuna assistenza alla persona handicappata. Di conseguenza, risponde del delitto di truffa il lavoratore che, avendo chiesto ed ottenuto di poter usufruire dei giorni di permesso retribuiti, li utilizzi per recarsi all'estero in viaggio di piacere, non prestando, quindi, alcuna assistenza.
4 gennaio 2019