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Insegnanti e diritto di precedenza al trasferimento in presenza di familiare portatore di handicap grave: compatibilità con le esigenze organizzative della pubblica amministrazione.

Corte di Cassazione, ordinanza 4677 del 2021.

La Corte di Appello di Genova condannava il MIUR a riconoscere ad un dipendente l’applicazione del diritto di precedenza, ai sensi dell’articolo 33 della legge 104/1992, in riferimento al trasferimento interprovinciale della stessa. La lavoratrice aveva adito il Tribunale, chiedendo il riconoscimento dell’applicazione in proprio favore del diritto di precedenza per essere familiare di riferimento del padre, soggetto portatore di handicap grave.

La Corte di Cassazione ha, invece, accolto il ricorso del Ministero.

L’articolo 33 della legge 104/1992 prevede che, a condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa. Il già menzionato diritto non può essere riconosciuto a più di un lavoratore dipendente per l’assistenza alla stessa persona con handicap in situazione di gravità. Il dipendente ha diritto di prestare assistenza nei confronti di più persone in situazione di handicap grave, a condizione che si tratti del coniuge o di un parente o affine entro il primo grado o entro il secondo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.

I permessi sono riconosciuti al lavoratore in ragione dell’assistenza al disabile, rispetto alla quale l’assenza dal lavoro deve porsi in relazione causale diretta, non essendo consentito l’utilizzo in funzione meramente compensativa delle energie impiegate dal dipendente per la detta assistenza.

L’articolo 33 prevede che lo stesso lavoratore ha diritto a scegliere ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sedo.

 

Dunque, ai fini del riconoscimento del diritto al trasferimento devono sussistere in capo al lavoratore le condizioni legali stabilite, da intendersi come l’essere il lavoratore coniuge, parente o affine entro il secondo grado, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, non ricoverata a tempo pieno.

La giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di esaminare la natura dell’agevolazione in questione, atteso che la stessa può essere esercitata ove possibile.

Tale diritto, a differenza della precedenza nella sede riconosciuta alla persona handicappata dall’articolo 21 della legge 104/1992, deve tener conto di un bilanciamento tra interessi tutti costituzionalmente protetti, di modo che il suo esercizio risulti compatibile con le esigenze organizzative della pubblica amministrazione datore di lavoro, su cui grava l’onere della prova di circostanze ostative all’esercizio dello stesso.

Se da un lato vanno considerate le esigenze funzionali al buon andamento dell’amministrazione (articolo 97 della Costituzione), dall’altro occorre tenere presente che le misure previste dall’articolo 33, devono intendersi come razionalmente inserite in un ampio complesso normativo riconducibile al principio di solidarietà, che non si identifica esclusivamente con l’assistenza familiare e che deve coesistere con altri valori costituzionali.

L’articolo 33 della legge 104/1992 non obbliga il lavoratore a scegliere la sede che appaia più conveniente per l’assolvimento dei compiti di assistenza, ma gli attribuisce solo il diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e di non essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.

7 luglio 2021

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