Indennità di accompagnamento: perdita di autonomia rispetto alla salute ed alla dignità del richiedente.
Corte di Cassazione sentenza 24980 del 2022.
La Corte di Appello ha parzialmente accolto l'impugnazione proposta dall'INPS avverso la sentenza del Tribunale di Crotone che aveva riconosciuto ad un soggetto il diritto a godere dell'indennità di accompagnamento sin dalla data di presentazione della domanda amministrativa; la Corte territoriale ha osservato che la ctu espletata in secondo grado aveva appurato che il soggetto interessato da un quadro patologico che aveva integrato i necessari presupposti solo dal momento in cui si era verificata la frattura del femore, con successivo ricovero in riabilitazione, e che l'erogazione poteva decorrere dal momento in cui era cessato il ricovero presso le strutture ospedaliere di ricovero.
Il soggetto interessato ha promosso ricorso per cassazione, respinto dalla Suprema Corte.
Ai sensi della legge 509/1988, l’indennità di accompagnamento è prevista in favore dei mutilati ed invalidi civili totalmente inabili per affezioni fisiche o psichiche nei cui confronti le apposite commissioni sanitarie abbiano accertato che si trovano nella impossibilità di deambulare senza l'aiuto permanente di un accompagnatore o, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, abbisognano di un'assistenza continua.
L'impossibilità di deambulare senza l'aiuto permanente di un accompagnatore oppure l'incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita con la conseguente necessità di assistenza continua, richiesti, alternativamente, ai fini della concessione dell'indennità di accompagnamento ai mutilati ed invalidi civili totalmente inabili, sono requisiti diversi e più rigorosi della semplice difficoltà di deambulazione o di compimento di atti della vita quotidiana con difficoltà; tale impossibilità, anche in ragione della peculiare funzione dell'indennità di accompagnamento, che è quella di sostegno alla famiglia così da agevolare la permanenza in essa di soggetti bisognevoli di continuo controllo, evitandone ii ricovero in istituti pubblici di assistenza, co diminuzione della spesa sociale, deve essere attuale e non meramente ipotetica; ai fini della valutazione dei requisiti di cui alla legge 18/1980, non rilevano episodici contesti, ma è richiesta la verifica della loro inerenza costante al soggetto, non in rapporto ad una soltanto delle possibili esplicazioni del vivere quotidiano, ovvero della necessità di assistenza determinata da patologie particolari e finalizzata al compimento di alcuni, specifici, atti della vita quotidiana, rilevando, quindi, requisiti diversi e più rigorosi della semplice difficoltà di deambulazione o di compimento degli atti della vita quotidiana e configuranti impossibilità.
Con riferimento all'incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita nel caso di malattie psichiche, l'indennità di accompagnamento va riconosciuta anche in favore di coloro i quali, pur essendo materialmente capaci di compiere gli atti elementari della vita quotidiana (quali nutrirsi, vestirsi, provvedere alla pulizia personale, assumere con corretta posologia le medicine prescritte) necessitino della presenza costante di un accompagnatore in quanto, in ragione di gravi disturbi della sfera intellettiva, cognitiva o volitiva dovuti a forme avanzate di gravi stati patologici, o a gravi carenze intellettive, non siano in grado di determinarsi autonomamente al compimento di tali atti nei tempi dovuti e con modi appropriati per salvaguardare la propria salute e la propria dignità personale senza porre in pericolo sé o gli altri.
La capacità dell'invalido di compiere gli elementari atti giornalieri debba intendersi non solo in senso fisico, cioè come mera idoneità ad eseguire in senso materiale detti atti, ma anche come capacità di intenderne il significato, la portata, la loro importanza anche ai fini della salvaguardia della propria condizione psicofisica; e come ancora la capacità richiesta per il riconoscimento dell'indennità di accompagnamento non debba parametrarsi sul numero degli elementari atti giornalieri, ma soprattutto sulle loro ricadute, nell'ambito delle quali assume rilievo non certo trascurabile l'incidenza sulla salute del malato nonché la salvaguardia della sua dignità come persona (anche l'incapacità ad un solo genere di atti può, per la rilevanza di questi ultimi e per l'imprevedibilità dei loro accadimento, attestare di per sé la necessità di una effettiva assistenza giornaliera. In sostanza, la giurisprudenza di legittimità esprime la necessità di procedere alla effettiva e concreta valutazione del livello di perdita autonomia complessiva.
Nel caso affrontato, la Corte di appello risulta essersi attenuta ai richiamati principi ed ha ancorato la propria valutazione alla considerazione che la malattia di Parkinson era presente in forma non avanzata, come da certificazione neurologica e della terapia osservata per cui non era stata compromessa la deambulazione (prima della frattura del collo del femore sinistro con ricovero in riabilitazione del giugno 2013) né la capacità di compiere atti fondamentali della vita.
3 luglio 2023