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In tema di assegno sociale rilevano i redditi effettivamente percepiti.

Corte di Cassazione, sentenza 24954 del 2021.

La Cassazione ha rigettato il ricorso dell’INPS avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma di accoglimento della domanda di una cittadina volta a conseguire l'assegno sociale.

La Corte di Appello, in particolare, ha ritenuto che l'assistita avesse diritto all'assegno nella misura integrale prevista dalla legge pur non avendo dato prova di aver inutilmente escusso il coniuge divorziato.

Avverso tali statuizioni ha proposto ricorso per cassazione l'INPS. L'Istituto ha denunciato che la Corte di merito ha errato nel ritenere che l'interessato avesse diritto a beneficiare dell'assegno sociale nella misura integrale prevista dalla legge ancorché non avesse dato prova di aver inutilmente escusso il proprio coniuge, a carico del quale vantava un assegno divorzile. Per l’Istituto, quindi, ammettere che la mancata riscossione dell'importo dovuto dall'ex coniuge possa di per sé sola legittimare la richiesta dell'assegno sociale nella misura prevista dalla legge potrebbe dar luogo ad abusi a danno della collettività.

La Suprema Corte ha premesso che i giudici di merito hanno accertato che, sebbene l’interessata avesse avuto attribuito, in sede di scioglimento del matrimonio, un assegno a carico dell'ex coniuge, la relativa somma non era mai stata effettivamente corrisposta dall'obbligato, che si era reso di fatto irreperibile, sottraendosi ai propri obblighi. Allo stesso tempo la Legge, in materia di assegno sociale, stabilisce che se il soggetto possiede redditi propri l'assegno è attribuito in misura ridotta fino a concorrenza dell'importo predetto. L'assegno, quindi, è erogato con carattere di provvisorietà sulla base della dichiarazione rilasciata dal richiedente ed è conguagliato, entro il mese di luglio dell'anno successivo, sulla base della dichiarazione dei redditi effettivamente percepiti.

Nell'interpretare tale disposizione, si è consolidato il principio per cui, essendo il conguaglio strettamente connesso alla effettiva percezione di un reddito, è da ritenere che il reddito incompatibile rilevi in quanto sia stato effettivamente acquisito al patrimonio dell'assistito: una lettura costituzionalmente orientata della norma in esame esclude, dunque, che si possa negare l'assegno a coloro che, pur essendo astrattamente titolari di un reddito totalmente o parzialmente incompatibile con l'assegno sociale, si vengano a trovare, in conseguenza della mancata percezione di fatto di tale reddito, nella medesima situazione reddituale di coloro che hanno diritto all'assegno sociale.

Non può sussistere un obbligo gravante sull'assistito di preventiva escussione dell'eventuale soggetto obbligato poiché tale conclusione si porrebbe in contrasto con la norma laddove valorizza, ai fini del diritto all'assegno, soltanto la circostanza che i redditi siano effettivamente percepiti, indipendentemente dalla prova che l'avente diritto si sia effettivamente (ed infruttuosamente) attivato per riscuoterli. Al richiedente è richiesto soltanto di formulare una prognosi riguardante i redditi percepibili in relazione allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della domanda, fermo restando che la corresponsione effettiva dell'assegno dovrà essere parametrata a ciò che di tali redditi risultino effettivamente percepiti.

Infine, per la Suprema Corte, l’INPS ha errato nel ritenere che la conclusione della Corte di Appello confligga con il costante orientamento secondo cui, ai fini dell'intervento del Fondo di garanzia, richiamato per analogia, è necessario che il lavoratore abbia preventivamente e infruttuosamente escusso il proprio datore di lavoro, poiché l’inutile esperimento dell'esecuzione forzata per la realizzazione del credito relativo alle ultime tre mensilità e al TFR è espressamente previsto dalla norma, onde è la stessa previsione di legge a renderlo rilevante in questo specifico caso.

29 dicembre 2021

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