Illegittime le registrazioni di conversazioni tra colleghi perché violano il diritto di riservatezza
Corte di Cassazione, sentenza n. 26143 del 2013.
Un lavoratore impugnava il licenziamento intimatogli dall’Azienda ospedaliera per la grave situazione di sfiducia, sospetto e mancanza di collaborazione venutasi a creare all’interno della "equipe" medica di chirurgia plastica dovuta al fatto che il medesimo aveva registrato brani di conversazione di numerosi suoi colleghi a loro insaputa, in violazione del loro diritto di riservatezza, per poi tentare di utilizzarli in sede giudiziaria.
Il Tribunale e la Corte di Appello confermavano il licenziamento perché ritenevano corretta la contestazione rivolta al lavoratore inerente alle registrazioni delle conversazioni tra i colleghi al fine di supportare la denunzia di presunto "mobbing" nei confronti del primario perché tale condotta integrava gli estremi della giusta causa di recesso in conseguenza della irrimediabile lesione del vincolo fiduciario con la parte datoriale.
La Corte di Cassazione ha confermato la decisione perché ha ritenuto grave il fatto oggetto del procedimento disciplinare posto a base del licenziamento. Le risultanze processuali avevano dimostrato che il lavoratore aveva tenuto un comportamento tale da integrare una infrazione del diritto alla riservatezza dei suoi colleghi, avendo registrato e diffuso le loro conversazioni intrattenute in un ambito strettamente lavorativo alla presenza del primario ed anche nei loro momenti privati svoltisi negli spogliatoi o nei locali di comune frequentazione, utilizzandole strumentalmente per una denunzia di vessazioni, rivelatasi, tra l’altro, infondata.
Nel corso del processo era emersa anche la reazione dei medici coinvolti che si era concretizzata in una richiesta alla Direzione dell'Azienda di adozione di disposizioni necessarie per la prosecuzione di un sereno ed efficace rapporto lavorativo. Tale evento aveva consentito ai giudici di prendere atto del clima di mancanza di fiducia che si era venuto a creare nei confronti del lavoratore licenziato, fiducia indispensabile per il miglior livello di assistenza e, quindi, funzionale alla qualità del servizio, il tutto con grave ed irreparabile compromissione anche del rapporto fiduciario che avrebbe dovuto permeare il rapporto tra il dipendente e l’Azienda ospedaliera.
La Corte di Cassazione ha, dunque, definitivamente respinto l'impugnativa di licenziamento del lavoratore e lo ha condannato al pagamento di 4000 euro di spese legali.
09/12/2013