Il servizio di videosorveglianza, con scopo di anti-taccheggio e anti-rapina, non deve consentire forme di controllo a distanza dei lavoratori
Garante Per La Protezione Dei Dati Personali, provvedimento n. 16 del 2013.
Il Garante per la protezione dei dati personali ha fornito delucidazioni in merito all’utilizzo delle telecamere all’interno dei luoghi di lavoro. L'Autorità ha puntualizzato che il servizio di vigilanza video, con scopo di anti-taccheggio e anti-rapina, non deve consentire forme di controllo a distanza dei lavoratori. Nelle attività di sorveglianza è obbligatorio rispettare il divieto di controllo a distanza dell’attività lavorativa, pertanto è vietata l’installazione di apparecchiature preordinate specificatamente a tale scopo illecito. Non devono, pertanto, essere effettuate riprese al fine di verificare l’osservanza dei doveri di diligenza stabiliti per il rispetto dell’orario di lavoro e la correttezza nell’esecuzione della prestazione lavorativa (ad esempio orientando la telecamera sugli apparecchi marcatempo). Nel caso affrontato, in seguito all’attività ispettiva condotta dagli uffici di una Questura, il Garante ha proibito il trattamento dei dati effettuato tramite il sistema di videosorveglianza installato in un esercizio di un’importante catena di distribuzione di libri. Dalle verifiche attuate era emerso che la società datrice di lavoro aveva violato in più punti l’accordo che era stato sottoscritto con i sindacati per l’installazione delle telecamere sul luogo di lavoro. Era stato riscontrato, ad esempio, che una videocamera era stata sistemata per inquadrare il sistema di rilevazione di accesso dei dipendenti, consentendo il controllo a distanza dei lavoratori. L'attività di ispezione aveva registrato che non erano a norma neppure i cartelli con l’informativa semplificata utilizzati per segnalare la presenza dell’impianto di videosorveglianza perché erano in numero inferiore a quanto necessario, non includevano tutte le informazioni indispensabili ed erano collocati in posizione non agevolmente visibile. Era, inoltre, emerso che l’impianto di videosorveglianza era stato affidato in gestione a un consorzio di imprese esterne che utilizzava per il servizio personale non qualificato. Chi effettuava il controllo delle immagini era, infatti, privo della licenza prefettizia di “guardia particolare giurata”, necessaria per poter svolgere funzioni anti-rapina e anti-taccheggio, e non era stato designato il preposto al trattamento dei dati personali. Il Garante ha ribadito su tale aspetto i principi confermati, anche dalla Corte di Cassazione Penale, secondo cui ogni forma di attività imprenditoriale di vigilanza e custodia di beni per conto terzi esige la licenza del Prefetto, come stabilito dal Testo unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, indipendentemente dalle modalità operative con le quali viene espletata.
27/05/2013