Il licenziamento intimato al dipendente che ha proposto ricorso per differenze di retribuzione ha natura ritorsiva. Vittoria in Tribunale per lo Studio Legale Carozza
Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Ordinanza Ruolo Generale 2451 del 2020.
Un lavoratore, impiegato presso una società di distribuzione, subiva un licenziamento per giusta causa per aver convenuto in giudizio il datore di lavoro. Il lavoratore, infatti, per importi dovuti dal precedente datore di lavoro, chiamava in causa anche il datore di lavoro attuale, invocando un trasferimento di azienda. La società contestava, però, al dipendente di essere stata convenuta in giudizio nonostante si ritenesse estranea ai fatti contestati.
Il lavoratore lamentava la natura ritorsiva e discriminatoria del licenziamento, sul presupposto di aver agito solo per far valere i propri diritti.
Con la missiva avente ad oggetto il licenziamento per giusta causa, la società comunicava al lavoratore l'immediata risoluzione del rapporto di lavoro per giusta causa proprio per aver ricevuto la notifica del ricorso giudiziario, con lesione del vincolo fiduciario. Il datore di lavoro poneva, dunque, alla base del licenziamento, a titolo di giusta causa, esclusivamente la proposizione, anche nei suoi confronti, del giudizio avente ad oggetto spettanze a dovute dalla precedente datrice di lavoro.
L’interessato, in realtà, dopo aver lavorato alle dipendenze di una prima società, era transitato senza soluzione di continuità alle dipendenze della seconda, la quale di fatti subentrava nel rapporto di lavoro senza alcuna modifica del contratto e con conservazione di tutti i diritti maturati. Vista la continuazione del rapporto avvenuta senza soluzione di continuità, ritenuto di vantare delle differenze retributive nei confronti della prima datrice di lavoro, il lavoratore aveva citato in giudizio tutte le società sul presupposto della responsabilità passiva prevista dall’articolo 2112 del Codice civile.
Il licenziamento ritorsivo costituisce l’ingiusta ed arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore colpito. Tale tipo di licenziamento è riconducibile alla fattispecie del licenziamento discriminatorio, vietato dall’articolo 4 della legge 604/1966, dall’articolo 15 della legge 300/70 e dall’articolo 3 della legge 108/1990. Il licenziamento per ritorsione è un licenziamento nullo, quando il motivo ritorsivo, come tale illecito, sia stato l'unico determinante dello stesso, ai sensi degli articoli 1418, 1345 e 1324 del Codice civile.
Il divieto di licenziamento discriminatorio è suscettibile di interpretazione estensiva sicché l'area dei singoli motivi vietati comprende anche il licenziamento per ritorsione o rappresaglia, che costituisce cioè l'ingiusta e arbitraria reazione, quale unica ragione del provvedimento espulsivo, essenzialmente quindi di natura vendicativa.
Nel caso affrontato, il Tribunale ha ritenuto il licenziamento ritorsivo già dagli atti, in quanto motivato da ingiusta ed arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore, che ha adito l’Autorità Giudiziaria al fine di ottenere, invocando una norma dell’ordinamento giuridico che prevede la solidarietà tra imprese in caso di cessione d’azienda, il pagamento di spettanze retributive. L’arbitrarietà delle ragioni che hanno condotto al licenziamento discende dal fatto che l’unico motivo indicato dal datore di lavoro è rappresentato proprio dalla proposizione del ricorso giudiziario lesivo, a suo dire, del vincolo fiduciario. Il datore di lavoro nemmeno ha aspettato la pronuncia giudiziale, ma ha ritenuto direttamente nocivo nei propri confronti già la semplice presentazione del ricorso.
L’unico ed effettivo motivo posto a base del licenziamento è conseguente alla proposizione del giudizio, per cui il recesso intimato, che trova fondamento in tale unico e determinante motivo, è stato adottato con finalità ritorsive.
Il Tribunale ha, quindi, dichiarato la nullità del licenziamento, con ordine di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro e condanna della datrice di lavoro all’indennità risarcitoria, di cui all’articolo 18 della legge 300/1970, pari all’ultima retribuzione globale di fatto dal licenziamento sino all’effettiva reintegrazione.
24 giugno 2021