Il lavoratore deve risarcire l’ammanco di cassa a lui imputabile.
Corte di Cassazione, sentenza 504 del 2018.
INTESA SANPAOLO adiva il giudice del lavoro di Milano, esponendo che dal gennaio 2003 aveva riscontrato una serie di anomalie presso la struttura Spedizioni, Archivi e Trasporti, diretta da un funzionario, che in particolare aveva richiesto rimborsi di spese di viaggio chilometrici non dovuti per missioni non compiute; che il dipendente si era appropriato di risme di carta della società e di risorse finanziarie messe a disposizione dai vari uffici della Banca a favore dell'ufficio archivio e spedizioni per la gestione di spese postali, il tutto per importi che ammontavano a Euro 734.270.00, richiesti dalla Banca a titolo risarcitorio.
La Corte di Appello di Milano ritenuta la responsabilità del lavoratore in relazione alle attività illecite accertate, lo condannava al risarcimento del danno, quantificato in Euro 8278,24 per rimborsi chilometrici non dovuti e in Euro 3011,69 per diarie non spettanti, nonché in Euro 599.877,49 per ammanchi, relativi ad assegni circolari e a danaro contante, occorrenti per i servizi postali della Banca.
Il lavoratore proponeva ricorso per cassazione.
La Suprema Corte ha rilevato che nel processo è risulto accertato l'ingiustificato ammanco di fondi, di cui il lavoratore aveva comunque la disponibilità, sicché egli era tenuto a fornire la conseguente prova liberatoria della non correlazione ed imputabilità alla sua responsabilità.
La Corte di Cassazione ha ricordato che qualora il datore di lavoro, in caso di ammanco di cassa, agisca in giudizio nei confronti di dipendenti tenuti contrattualmente ad assicurare la custodia del denaro fin dal momento in cui esso sia stato loro consegnato per essere collocato in cassaforte, e a sostegno della domanda si limiti a fare riferimento al fatto dannoso per l'azienda costituito dalla perdita del denaro, trovano applicazione i principi fissati dall'articolo 1218 del codice civile, il quale è strutturato in modo da porre a carico del debitore, per il solo fatto dell'inadempimento, una presunzione di colpa, che è superabile mediante la prova dello specifico impedimento che ha reso impossibile la prestazione o, almeno, la dimostrazione che, qualunque sia stata la causa dell'impossibilità, la medesima non possa essere imputabile al debitore.
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso del lavoratore condannandolo al pagamento di oltre ventimila euro di spese legali.
26 aprile 2018