Il giudicato penale non preclude, in sede disciplinare, una rinnovata valutazione dei fatti.
Corte di Cassazione, sentenza 3659 del 2021.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso di un funzionario amministrativo avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma che aveva confermato il rigetto della domanda intesa ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento senza preavviso intimatogli dal Comune di Roma Capitale.
La vicenda aveva preso le mosse da una videoregistrazione effettuata da un giornalista presso gli Uffici comunali da cui si evinceva che il funzionario aveva ricevuto, in diverse occasioni, pagamenti dai cittadini per prestazioni che avrebbero dovuto essere gratuite. Il Comune di Roma Capitale, dunque, aveva adottato nei confronti del lavoratore il provvedimento di licenziamento senza preavviso.
La Corte di Appello aveva ritenuto legittimo che il procedimento disciplinare fosse definito da un organo monocratico (il direttore dell’Unità organizzativa responsabile per i Procedimenti Disciplinari), nonostante l’istruttoria fosse stata condotta da componenti dell’ufficio ma non dal direttore, ritenendo che la configurazione dei collegi di disciplina come collegi perfetti non è coessenziale alla funzione di valutazione e di giudizio propria di tali organi.
Per la cassazione della sentenza il funzionario ha proposto ricorso lamentando che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente escluso l’illegittimità del procedimento disciplinare condotto e definito da un organo monocratico e non collegiale, dal momento che l’UPD è per legge una struttura plurisoggettiva a valenza collegiale. Il lavoratore, inoltre, ha lamentato che la sentenza fosse viziata per non aver attribuito la giusta rilevanza alla sentenza penale di assoluzione e per non aver ritenuto che tale assoluzione facesse stato circa l’insussistenza del fatto.
La Corte di Cassazione, in primo luogo, ha evidenziato che l’Ufficio competente per i procedimenti disciplinari non aveva affatto natura plurisoggettiva ed il titolare dell’UPD si avvaleva, per gli atti istruttori necessari, di un’apposita struttura amministrativa. Questa circostanza non è vietata dalla Legge, che non impone la costituzione dell’UPD nelle forme e con le regole dell’organo collegiale, consentendo, quindi, che il titolare dell’ufficio dei procedimenti disciplinari possa delegare il compimento di singoli atti ai dipendenti assegnati all’ufficio stesso, purché ne faccia propri i risultati provvedendo all’esame della istruttoria, alla contestazione dell’addebito ed alla irrogazione della sanzione.
Per quanto concerne l’assoluzione in sede penale, la Suprema Corte ha sottolineato che l’accertamento penale ha riguardato il fatto reato, ossia il fatto corruttivo, ma non ha certo escluso il fatto materiale costituito dalla ricezione da privati, nell’esercizio delle funzioni, di somme di denaro. In particolare, infatti, il giudice penale non ha affatto ritenuto che tale condotta non fosse riferibile al funzionario o che la video-registrazione posta a base anche del procedimento penale non avesse ripreso il lavoratore all’atto di ricevere somme non dovute, ma ha posto a base della decisione la circostanza che l’accertamento delle condotte abituali contestate avrebbe reso necessaria ulteriore istruttoria e che fosse insufficiente la prova che le regalie accettate avessero superato quei 150 euro per anno solare, che i codici di comportamento per i pubblici dipendenti pongono alla soglia-limite ammessa.
In tema di rapporti tra procedimento penale e procedimento disciplinare, il giudicato penale non preclude, in sede disciplinare, una rinnovata valutazione dei fatti accertati dal giudice penale, attesa la diversità dei presupposti delle rispettive responsabilità, fermo solo il limite dell’immutabilità dell’accertamento dei fatti nella loro materialità e, dunque, della ricostruzione dell’episodio posto a fondamento dell’incolpazione operato nel giudizio penale.
La sanzione disciplinare è strettamente correlata al potere direttivo del datore di lavoro, inteso come potere di conformazione della prestazione alle esigenze organizzative dell’impresa o dell’ente, potere che comprende in sé quello di reagire alle condotte del lavoratore che integrano inadempimento contrattuale. La previsione della sanzione disciplinare, dunque, non è posta a presidio di interessi primari della collettività, né assolve alla funzione preventiva propria della pena, sicché l’interesse che attraverso la sanzione disciplinare si persegue, anche qualora i fatti commessi integrino illecito penale, è sempre quello del datore di lavoro al corretto adempimento delle obbligazioni che scaturiscono dal rapporto. Essendo diversi i presupposti delle relative responsabilità ed i piani di operatività dei rispettivi giudizi, quindi, non è precluso al giudice civile di esaminare i medesimi accadimenti nell’ottica dell’illecito disciplinare, non sussistendo alcun vincolo rispetto alle valutazioni nella sentenza penale. L’assoluzione intervenuta nel giudizio penale non preclude il vaglio dei medesimi fatti sotto il profilo disciplinare.
3 settembre 2021