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Il datore di lavoro può compensare il credito da TFR con il risarcimento del danno dovuto dal lavoratore.

Corte di Cassazione, sentenza 10132 del 2018.

Il Giudice del Lavoro di Milano, in accoglimento dell'opposizione proposta da ALER (Azienda Lombarda Edilizia Residenziale), revocava il decreto ingiuntivo, con il quale era stato intimato il pagamento della somma del TFR in favore di un lavoratore, in relazione al rapporto di lavoro intercorso, allorché il dipendente era stato licenziato dall'azienda con riferimento a fatti emersi nell'ambito di un procedimento penale concernente episodi di corruzione, e a causa dei quali il predetto era stato sottoposto a custodia cautelare. Il primo giudicante aveva quindi ritenuto di accogliere le tesi del datore di lavoro, che aveva dedotto di avere subito gravi danni da comportamento illecito tenuto dal dipendente, per cui aveva diritto ad opporre in compensazione, rispetto all'invocato TFR, le proprie pretese risarcitorie.

La Corte di Appello di Milano, invece, riformava la sentenza di primo grado.

Della controversia veniva investita la Corte di Cassazione.

La Suprema Corte ha ritenuto fondata la domanda del datore di lavoro circa la legittimità dell’operazione di compensazione (atecnica o impropria) tra la pretesa creditoria azionata dal lavoratore, relativamente al diritto al TFR, e quella risarcitoria, vantata dall'Azienda, entrambe attinenti al medesimo rapporto di lavoro intercorso tra le parti.

Si è in presenza di compensazione cd. impropria se la reciproca relazione di debito-credito nasce da un unico rapporto (qual è indubbiamente il rapporto di lavoro), in cui l'accertamento contabile del saldo finale delle contrapposte partite può essere compiuto dal giudice d'ufficio, diversamente da quanto accade nel caso di compensazione propria, che, per operare, postula l'autonomia dei rapporti e richiede l'eccezione di parte.

In tema di estinzione delle obbligazioni, è configurabile la cosiddetta compensazione atecnica allorché i crediti abbiano origine da un unico rapporto, la cui identità non è esclusa dal fatto che uno di essi abbia natura risarcitoria derivando da inadempimento nel qual caso la valutazione delle reciproche pretese comporta l'accertamento del dare e avere, senza che sia necessaria la proposizione di un'apposita domanda riconvenzionale o di un'apposita eccezione di compensazione, che postulano, invece, l'autonomia dei rapporti ai quali i crediti si riferiscono. La disciplina della compensazione secondo l’articolo 1241 del codice civile è applicabile nelle ipotesi in cui le reciproche ragioni di credito, pur avendo il loro comune presupposto nel medesimo rapporto, siano fondate su titoli aventi diversa natura, l'una contrattuale e l'altra extracontrattuale.

L'istituto della compensazione presuppone l'autonomia dei rapporti cui si riferiscono i contrapposti crediti delle parti, mentre è configurabile la cosiddetta compensazione impropria allorché i rispettivi crediti e debiti abbiano origine da un unico rapporto, nel qual caso la valutazione delle reciproche pretese importa soltanto un semplice accertamento contabile di dare ed avere e a ciò il giudice può procedere senza che sia necessaria l'eccezione di parte o la proposizione di domanda riconvenzionale.

22 ottobre 2018

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