Il datore di lavoro, in caso di violazione delle norme poste a tutela dell’integrità fisica del lavoratore, è responsabile dell’infortunio
Corte di Cassazione, sentenza n. 27127 del 2013.
Un lavoratore, nell’eseguire la sostituzione della lampada di emergenza di un mezzo compattatore, avvalendosi di una scala normale, non dotata di dispositivi antiscivolo ed inidonea all’uso, cadeva dall’altezza di circa 3,5 metri riportando gravi lesioni.
Il Tribunale e la Corte d’Appello condannavano il datore di lavoro e la compagnia assicuratrice dello stesso al pagamento, in solido, a favore del lavoratore di una somma di danaro a titolo di risarcimento del danno biologico e morale conseguente all'infortunio sul lavoro.
La Corte di Cassazione ha ribadito che le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l'insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso. Il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente l'eventuale concorso di colpa del lavoratore. L'imprenditore è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri di atipicità e esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute.
In tutte le ipotesi in cui la condotta del lavoratore dipendente finisca per configurarsi nell’eziologia dell'evento dannoso come una mera modalità dell'iter produttivo del danno, tale condotta, proprio perché "imposta" in ragione della situazione di subordinazione in cui il lavoratore versa, va addebitata al datore di lavoro, il cui comportamento, concretizzantesi invece nella violazione di specifiche norme antinfortunistiche (o di regole di comune prudenza) e nell’ordine di eseguire incombenze lavorative pericolose, funge da unico efficiente fattore causale dell’evento dannoso.
La Corte di Cassazione ha ritenuto, nel caso affrontato, accertato che il lavoratore fosse stato adibito ad una operazione pericolosa (sostituzione della lampada di emergenza di un mezzo compattatore ad una altezza di circa 3-4 metri), con una scala inidonea all’uso, senza che sui lati aperti verso il vuoto fossero installati parapetti normali con arresto al piede o mezzi di protezione equivalenti, idonei ad impedire la caduta di persone e, per di più, senza che sull’esecuzione di tale prestazione vi fosse alcuna vigilanza. Si è escluso che il lavoratore abbia posto in essere una condotta abnorme, atipica ed eccezionale. Il Supremo Collegio ha, quindi, statuito che il datore di lavoro fosse obbligato a ristorare integralmente il danno occorso al lavoratore.
23/12/2013